lunedì 28 febbraio 2011

Intervista a Lord Nat Wei, l'uomo della "Big Society"


Lord Nat Wei, responsabile per il Governo britannico del programma "Big Society", ha illustrare a Roma, il 24 febbraio scorso, la riforma del welfare basata su una società civile sempre più attiva. Un grande progetto, sul quale predominano molte incognite. "Per vederlo compiuto - dice Nat Wei - potrebbero essere necessari anche più di 60 anni”.

Più potere ai cittadini coinvolgendoli nell’amministrazione del Paese e nell’erogazione dei servizi pubblici (anche in ambiti importanti come la sanità, trasporti pubblici, la sicurezza e l’istruzione) allo scopo di responsabilizzarli ed esaltare il loro spirito di iniziativa. Ma anche di realizzare cospicui risparmi per lo Stato, realizzando, con il tempo, un massiccio trasferimento di poteri e doveri alle comunità locali e alle organizzazioni civili. Ma a tutto beneficio dei cittadini, assicura il Governo inglese. Perché le persone conoscono bene i loro problemi e spesso sanno risolverli meglio di quanto possa fare un il livello centrale.
È intorno a tutto questo che ruota la Big Society, il grande progetto di riforma del Welfare del Governo di David Cameron.

Per illustrarne i principi, la Fondazione Roma ha invitato oggi a parlarne Lord Nat Wei, responsabile per il Governo britannico del programma Big Society.
Genitori cinesi, 33 anni, Lord Wei è il più giovane membro della Camera dei Lord del Parlamento inglese. “Ci sono tre presupposti da cui partire per comprendere le ragioni di questa riforma”, spiega.
“La prima è la mancanza di fiducia nelle istituzioni. Solo 2 inglesi su 5 si dicono soddisfatti de i servizi pubblici e la fiducia nei confronti del Governo è ai livelli più bassi mai raggiunti dopo la Seconda Guerra mondiale”. Insomma, se gli inglesi non si fidano delle istituzioni, che siano loro ad occuparsi della “cosa pubblica” e attraverso la valorizzazione delle loro competenze, del loro spirito di iniziativa e del loro legame con quel territorio, quel servizio, quel bene comune.

Ma c’è altro. “In Inghilterra ci sono disuguaglianze sociali molto forti e un’ampia fascia della popolazione vive in condizioni di disagio. Le dimissioni ospedaliere alcol correlate sono cresciute del 5,7% dal 2006 al 2009”. La Big Society, spiega l’esperto del governo britannico, permetterà a tante persone in difficoltà non solo di essere aiutate, ma anche di diventare protagoniste di tutta una serie di attività che gli permetteranno di guadagnare qualche soldo, di sviluppare competenze, di spezzare quell’emarginazione in cui si trovano oggi.

Terzo presupposto: la crisi economica, che impone sfide e cambiamenti, anche considerato come lo sviluppo industriale si sia ormai spostato nell’Est del mondo rendendo ancora più difficile la ripresa economica nei Paesi occidentali. Cosa fare, allora? Se i finanziamenti statali sono destinati a diminuire, la risposta ai bisogni dei cittadini sta nella sussidiarietà.

E così, lo Stato si fa da parte e saranno le comunità locali, raccolte in cooperative o associazioni di volontariato a gestire tutta una serie di servizi pubblici di cui oggi si occupa lo Stato. E lo faranno attraverso i fondi messi a disposizione dalla “Big Society Bank” (che nell’idea del Governo sarà in parte finanziata attraverso i conti correnti dormienti di cui nessuno rivendica la titolarità da 15 anni) o attraverso fondi creati dai cittadini stessi.
Questo permetterà alla comunità civile di poter essere artefice del proprio destino, di rispondere agli specifici bisogni della loro realtà territoriale, di preservare la loro storia e di immaginare il loro futuro. Ma permetterà anche allo Stato di ottenere notevoli risparmi. “Le nostre stime parlano di risparmi che variano dall’8 al 15%, a seconda della tipologia di servizi. Risorse che il Governo potrà poi investire di nuovo in interventi ed attività a vantaggio della Big Society”.

Principi senz'altro innovativi. Forse troppo, tant'è che la riforma prospettata da Cameron, a leggere molti resoconti sulla stampa britannica, non sembra convincere del tutto gli inglesi, secondo i quali la Big Society è una bella maschera dietro la quale si nascondono pesanti tagli. Il timore è che i cittadini si troveranno con molti meno servizi e di qualità inferiore a quelli su cui possono contare oggi. A mantenere un certo pessimismo è anche la vaghezza, di cui si accusa il Governo Cameron, sugli strumenti che dovrebbero permettere di realizzare questa "perfetta" società civile.

Lord Wei, in certi casi si parla di servizi molto importanti, come quelli sanitari. Il Governo avrà un ruolo regolatore e di verifica della qualità dei servizi che le “imprese di cittadini” riusciranno ad erogare e per garantire che non vi siano aree critiche abbandonate perché i cittadini non vogliono investirvi le proprie forze?
Io credo che la grande sfida della Big Society sia proprio quella del ruolo dello Stato e di come viene esercitato questo ruolo in termini di garanzia di uguaglianza nei servizi forniti ai cittadini. Ma la Big Society è un progetto in divenire, che ogni giorno cambia per rispondere agli elementi che emergono. Ed è un progetto che vogliamo realizzare con i cittadini. Consapevoli che per vederlo compiuto potrebbero essere necessari anche di 60 anni”.
Abbiamo una tela molto ampia sulla quale stiamo operando, soprattutto nel settore dei meno abbienti, per liberare delle risorse, che sono limitate, nelle aree dove ce ne è più bisogno. In Inghilterra ci sono settori che hanno bisogno di più solidarietà e settori che ne hanno meno bisogno. Credo che dare alla società un ruolo da protagonista nelle aree di fragilità porterà un incremento della qualità dei servizi offerti. Soprattutto in quei servizi dove il Governo non può o non vuole agire.
La Big Society chiaramente deve confrontarsi con gli obiettivi del Governo e con quelli dei cittadini. Ma non c’è una comunità che possa agire senza il supporto del Governo.

Secondo quali criteri i fondi della Big Society Bank verranno assegnati ai progetti presentati dai cittadini?
La Big Society Bank gestirà solo denaro da investire nel settore sociale, ma non sarà in diretto contatto con i cittadini o con gli enti caritatevoli. La Big Bank Society agirà attraverso le piccole banche locali, che poi assegneranno i fondi ai vari progetti in modo da rispondere alle necessità locali.

Quali saranno i prossimi passi?
Ci sono tre settori, in particolare, su cui ci stiamo già concentrando. Uno è l’aggiornamento e la riforma dei servizi civili, poi il miglioramento della struttura legale e normativa in materia di “impresa sociale”, e l’individuazione di strumenti finanziari, come le agevolazioni fiscali e una nuova politica degli investimenti da parte delle banche.
Il percorso è lungo e difficile, ma citando Margaret Meade, “Mai dubitare del fatto che un piccolo gruppo di persone consapevoli e attente possa cambiare il mondo. Infatti è sempre stato l'unico modo per riuscirci”.

L.C.
(tratto da Quotidiano Sanità)

v.ferla@cittadinanzattiva.it

venerdì 25 febbraio 2011

Sussidiarietà pasticciata nel decreto 'Milleritardi'


Dal confuso contenuto del decreto "Milleproroghe", simbolo evidente dell'incapacità del legislatore di regolare in modo credibile temi di interesse pubblico, il dato che emerge con forza è l'approccio superficiale e contraddittorio del governo in tema di politiche sociali e un'interpretazione tendenziosa dell'idea di sussidiarietà.
Prime vittime di questa confusione normativa saranno i diritti delle persone meno protette e le stesse norme costituzionali


Quanti cittadini italiani sono informati dell’approvazione del decreto ‘Milleproroghe’ e, soprattutto, del suo confusissimo contenuto, dopo quattro mesi di sostanziale paralisi dell’attività parlamentare? Molto probabilmente assai pochi. Per fortuna, l’iniziativa del Capo dello Stato ha contribuito a dare un po’ di visibilità ad un malcostume ormai consolidato nell’attività legislativa delle nostre istituzioni. Ma gli appunti da fare vanno anche al di là di quelli che Napolitano poteva fare nell’esercizio delle sue funzioni.
Già l’appellativo ‘Milleproroghe’ mostra chiaramente l’ineffettività della legificazione in Italia. I termini di legge sono fatti per essere rispettati, non per essere prorogati. Ciascuna proroga, invece, inchioda il Governo ai suoi inadempimenti. Oppure rivela l’incapacità del legislatore di regolare in modo credibile i temi di interesse pubblico. In sostanza, “Milleproroghe” potrebbe tradursi anche con “Milleritardi” o con “Milleinadempienze”: nomi che rappresentano l’attitudine di una classe politico-amministrativa abituata a mandare messaggi contrari alla cultura delle regole. E così nel nostro Paese si fa strada l’idea che fissare un termine non significhi nulla, perché normalmente esso è destinato a essere prorogato. E quando il termine è scaduto, interviene la politica per riaprirlo.

Un contenuto confusionario

Si capisce bene perché provvedimenti siffatti siano scritti in modo incomprensibile. Per smontare la certezza del diritto è necessario spargere un fumo di opacità, la norma va redatta in modo affrettato e abborracciato, le disposizioni ammucchiate nel segno del disordine. In questa indigeribile mistione, si creano gli spazi per le scorribande del lobbysmo più mediocre (come nel caso del ripristino di fatto del monopolio della Federazione Italiana Nuoto per il rilascio della patente di idoneità ai bagnini…) e il contenuto delle singole norme diventa oscuro alla generalità dei cittadini. Il loro significato sarà comprensibile soltanto a chi le ha scritte e ai loro ‘mandanti’.

L’oggetto del “Milleproroghe”, ovviamente, comprende le materie (e le brutture) più improbabili: da una sorta di condono strisciante per 600 case abusive in Campania, agli sgravi fiscali per le banche. E poi, in ordine sparso: una tassa sui biglietti del cinema, proroghe o riaperture di termini in tema di servizi trasfusionali, di smaltimento dei rifiuti, di provvidenze fiscali per il terremoto dell’Aquila e per l’eruzione dell’Etna, di finanziamento delle Autorità portuali, di gestione del personale scolastico, di rottamazione degli autoveicoli, di cooperazione internazionale di Polizia, di fecondazione assistita, di navigazione nei laghi lombardi, di blocco degli sfratti, di trasmissioni televisive, di informatica giudiziaria, di armi da fuoco portatili, e via elencando. Si registra la solita norma a sostegno del sottogoverno: il sindaco Alemanno, nell’ambito dei provvedimenti per ‘Roma capitale’, ottiene tre assessori in più (e li giustifica con una maggiore apertura alle donne….). Non manca, perfino, un rinvio di pagamento delle quote latte a favore dei padani inadempienti…

Il decreto e i diritti sociali dei cittadini

Ma le contraddizioni più gravi sono quelle che toccano i diritti sociali dei cittadini. Da un lato, infatti, il testo proroga senza ragioni il termine ultimo (31 marzo 2011) per il passaggio definitivo al regime ordinario dell’attività libero professionale intramuraria, cioè la possibilità di esercitare la propria attività da parte di medici specialisti autorizzati, al di fuori dell'orario di lavoro, presso le strutture del Servizio Sanitario Nazionale o presso i propri studi privati. Da tempo le regioni hanno i fondi necessari per garantire questo passaggio, pensato per garantire ai cittadini trasparenza nell’accesso alle cure, maggiore qualità e sicurezza.

Viceversa, confermare la scelta di non rifinanziare nel 2011 (e dunque di non ‘prorogare’) il fondo nazionale per la non autosufficienza sembra l'ennesimo atto di indifferenza nei confronti delle persone più fragili e dei loro familiari. Il Governo dimostra scarsa attenzione alle politiche sociali e sordità verso le richieste delle organizzazioni civiche di tutela e delle stesse regioni. Il mancato finanziamento del fondo a livello nazionale crea disuguaglianze: i cittadini che risiedono in regioni in grado di finanziare autonomamente gli interventi potranno accedere alle relative prestazioni, gli altri no. Inoltre, sarà inevitabile l’aumento della spesa sanitaria, e un’assunzione di costi privati per le famiglie italiane.

Sussidiarietà di pessima qualità

Un’altra iniziativa che deve scandalizzare riguarda il ripristino della social card, strettamente legata ad una interpretazione capziosa dell’idea di sussidiarietà. Con questa misura il governo attribuisce a non meglio specificati enti caritatevoli l’incarico di assegnare il contributo. Ora, al di là della capacità di questa misura di risolvere il problema della povertà in Italia, la modalità scelta per realizzarla lascia inevase troppe domande. Come si selezionano gli enti caritatevoli? E, successivamente, tali enti come selezioneranno i beneficiari del contributo? Quali criteri utilizzeranno? Come verrà risarcito questo servizio ai cittadini visto che nulla è previsto a riguardo? E si potrebbe continuare. Molti osservatori temono già, non a torto, che nelle pieghe di una norma siffatta possa celarsi una zona vischiosa fatta di irresponsabilità, di ineguaglianze di fatto e di mancanza di trasparenza. Insomma, davvero un pessimo modo per attuare la sussidiarietà. Con il rischio, peraltro, di gettare un’ombra di discredito sulle pratiche sussidiarie delle realtà della società civile. Ma questo non deve stupire. In fondo, nel Libro Bianco sul Welfare – che Labsus ha già criticato in passato - erano già contenute le premesse per soluzioni così pasticciate e inappropriate.

Conclusioni

Insomma, anche alla luce di queste considerazioni, il ‘Milleproroghe’ – imposto dal Governo a colpi di ‘maximemendamenti’– appare doppiamente criticabile. Prima di tutto perché, per la scarsa qualità del prodotto legislativo, siamo di fronte ad una vera e propria ‘vessazione’ nei confronti dei cittadini italiani. Ma soprattutto perché le prime vittime di questa confusione normativa saranno soprattutto i diritti delle persone meno protette e le stesse norme costituzionali, compreso l’ultimo comma dell’art.118.

martedì 22 febbraio 2011

La missione di Cameron


“Io so che il primo compito del mio governo è quello di ridurre il deficit e il debito e favorire la ripresa economica. Questo è il mio dovere. Ma qual è la mia missione? Che cosa mi appassiona veramente?” Comincia così il discorso di David Cameron nel giorno di San Valentino. Un discorso che ha segnato la scena pubblica europea nella settimana scorsa. Un discorso necessario per dare alcune risposte alle numerose critiche rivolte alla Big Society.
"Dobbiamo devolvere più potere ai governi locali affinché il popolo possa fare di più e acquistare più potere"
E Cameron ha cercato di difendersi. “La rinascita sociale mi appassiona tanto quanto quella economica – ha detto Cameron. Se è vero che la società è frammentata, le famiglie sono frammentate, il livello della criminalità è aumentato così come l’appartenenza alle gang criminali, i problemi della gente si concentrano nel welfare e nella difficoltà del lavoro, se è vero che qualcosa dei nostri servizi pubblici non funziona come dovrebbe – ecco per me tutto questo ha a che fare con la Big Society”. Secondo il premier britannico, la parola che sta al cuore di tutto questo è: responsabilità. “Noi abbiamo bisogno che la gente si assuma più responsabilità”. Fa l’esempio della lotta al crimine. Certo, il governo ha un ruolo enorme: mettere la polizia nelle strade, assicurare la certezza delle sentenze, rendere sicure e disponibili le prigioni. “Ma il crimine non si può combattere senza che le comunità ci aiutino a garantire la loro sicurezza”.
Ma come risponde Cameron alle principali critiche?

Un progetto troppo vago?

La prima: sono in molti ad accusare il progetto della Big Society di essere troppo vago. Cameron riconosce che “non c’è una singola politica che si srotoli a questo scopo in tutto il paese”. Ma il motivo è che le iniziative da adottare sono trasversali a politiche diverse e vanno in varie direzioni. “Prima di tutto – spiega Cameron - noi dobbiamo devolvere più potere ai governi locali, e anche oltre questi, affinché il popolo possa fare di più e acquistare più potere”. In secondo luogo, “dobbiamo aprire i servizi pubblici, renderli meno monolitici, dire alle persone: se volete avviare una nuova scuola, potete farlo; se volete creare una cooperativa o una società mutualistica di servizi sanitari, puoi farlo”. In sostanza, alle organizzazioni della società civile bisogna dire: “se tu vuoi espandere e replicare te stesso attraverso il paese, noi vogliamo che tu lo faccia”. In terzo luogo, aggiunge Cameron, “dobbiamo avere più donazioni filantropiche e più volontariato nel nostro paese”.

Coprire i tagli

Ma c’è una seconda domanda critica assai diffusa tra la gente: “Ok, questo discorso non è così vago, ma questa è soltanto una copertura per i tagli alla spesa pubblica, non è vero?”
Cameron si difende: “Non è una copertura. Cercare e costruire una società più grande e più forte è cosa buona. Qualsiasi cosa accada alla spesa pubblica”. L’argomento usato dal premier inglese è questo: “Qualsiasi Primo Ministro oggi dovrebbe procedere a tagli della spesa pubblica. E allora, dovendo comunque adottare questi tagli, non è meglio che si cerchi allo stesso tempo di incoraggiare una più grande e forte società? Se ci sono servizi che lo stato non può più permettersi, non dobbiamo cercare di incoraggiare le comunità che vogliono offrire e aiutare se stesse e autogestirsi? Stiamo avviando la Big Society Bank e la stiamo dotando di 200 milioni di sterline provenienti dalle banche. Stiamo attivando un fondo transitorio in modo tale da sostenere quelle organizzazioni che hanno bisogno di risorse in questa difficile fase”.

I tagli indeboliscono la Big Society?

Terza critica: può darsi che questa storia non sia una copertura per i tagli, ma i tagli renderanno la costruzione di una società più grande molto più difficile. A questa osservazione, Cameron risponde così: “ovviamente non c’è nessuna area che possa essere immune dai problemi della spesa pubblica che noi affrontiamo, ma se si guarda a quel che attualmente il governo centrale sta facendo, noi stiamo realizzando cose che potranno rendere possibile la big society”. Un primo impegno del governo britannico sarà la formazione di altri 5 mila community organisers per aiutare la costruzione della Big society. “Io non credo che si possa semplicemente ritirare lo Stato e, di conseguenza, la Big Society sorge miracolosamente”, spiega Cameron. “Ci sono persone eccezionali in questo paese che stanno edificando grandi organizzazioni di comunità e imprese sociali, ma il governo dovrebbe anche svolgere una funzione catalitica e di stimolo per aiutare la costruzione della Big Society”.

Ma la Big Society esiste già

Ma c’è un’ultima critica. Molti inglesi sostengono che si tratti solo di una retorica. In realtà, tutto ciò di cui parla il governo non è niente di nuovo. Questo è quanto accade già. Cameron sta solo cercando di attribuirsi l’ottimo lavoro che la gente già fa. “La mia risposta è: sì, è vero, non è completamente una novità”, si difende il premier. Che ammette: “l’idea di comunità che acquisiscono più controllo, di più volontariato, di più donazioni benefiche, di imprese sociali che assumono un ruolo più importante, di gente che avvia in proprio dei servizi di pubblica utilità – tutte queste cose stanno succedendo nel nostro paese. Tutte queste cose sono accadute nel nostro paese per anni”. E allora? Cameron pone delle altre domande: “dobbiamo cercare di fare di più? Come possiamo incoraggiare questi sforzi? Come possiamo riprodurli in tutto il paese? Come possiamo rendere questa nazione un posto davvero fantastico per una nuova opera benefica, per una nuova impresa sociale, per allargare l’offerta di servizi pubblici? Si, tutto ciò non è completamente nuovo, ma rappresenta un nuovo approccio di governo: invece di pensare di avere in Whitehall tutte le risposte, che cosa possiamo fare per aiutare a costruire una società più forte?”

La passione e la diffidenza

Per Cameron questa è una “passione assoluta”. “Penso che questo sia un modo diverso di governare, un nuovo modo per cercare di cambiare in meglio il nostro paese. Metterò tutta la mia passione in questa impresa. Ma sopra ogni cosa, tutto ciò dipenderà dall’impegno della gente, perché è l’intraprendenza che costruire la nostra agenda di lavoro”. Fin qui il suggestivo punto di vista del primo ministro inglese. Una difesa appassionata che molti però continuano a guardare con diffidenza. Intanto, il 24 febbraio si terrà a Roma, in un convegno sulla Big Society organizzato da Fondazione Roma e Ceida (con il patrocinio, tra gli altri di Cittadinanzattiva). L’ospite principale è Nat Wei, imprenditore sociale e membro della House of Lords, uno dei principali protagonisti del progetto di Big Society. Sarà interessante, intanto, ascoltare una fonte così diretta e autorevole. In attesa della prova dei fatti.

martedì 15 febbraio 2011

Trasparenza e qualità della PA: c'era una volta una riforma….

Peccato. A vedere sotto i nostri occhi la progressiva agonia della riforma Brunetta cresce un forte sentimento di rammarico. Il decreto legislativo 150 del 2009 - che introduce importanti novità in tema di trasparenza e performance delle istituzioni pubbliche - rappresentava un formidabile passo in avanti in termini di efficacia, efficienza e produttività della PA e offriva indirizzi importanti in termini di lotta alla corruzione e agli abusi di potere.
Oggi però, dopo appena un anno e mezzo dall’approvazione, quel cammino sembra sostanzialmente interrotto. I tagli lineari della manovra finanziaria hanno sottratto risorse importanti e così non ci sono più soldi per premiare i dipendenti meritevoli e attuare la riforma. L’azione collettiva si può usare con difficoltà e spesso, per i cittadini, il gioco non vale la candela. La Presidenza del Consiglio è stato il primo pezzo di amministrazione a sganciarsi dai controlli della legge, poi ci ha provato il Ministero dell’Economia. Mille resistenze vengono a tutti gli altri livelli, rafforzate dai tempi di attuazione e di adeguamento che la legge stessa prevede, per esempio in ambito di amministrazioni sanitarie.
In più, l’ultimo accordo siglato dal governo con i sindacati ripristina di fatto la tradizionale palude burocratica e corporativa e recupera i contenuti del Memorandum Nicolais del gennaio 2007. Solo la Cgil non lo ha firmato, non certo per dissenso dai contenuti, ma solo per rimarcare ancora una volta la propria zelante opposizione al governo. E così, niente valutazione delle performance da parte di organismi indipendenti. Si ritorna ai controlli corporativo-sindacali effettuati da commissioni paritetiche (rappresentanti delle amministrazioni oggetto di controllo e rappresentanti dei sindacati dei dipendenti delle amministrazioni medesime). Il punto di vista dei cittadini viene sostanzialmente espulso. Inoltre, la differenziazione dei salari in base al merito va in soffitta a garanzia della certezza di irresponsabilità per tutti.
In un contesto del genere, si auspicava una energica iniziativa riformatrice della CIVIT (la Commissione indipendente per la trasparenza, l’integrità e la valutazione, introdotta con la riforma). Ma le speranze si sono rivelate mal poste e i risultati assai deludenti. La Commissione è tutt’altro che indipendente, essendo di nomina governativa. La selezione dei commissari è fatta secondo le tradizionali logiche spartitorie dei partiti. L’attività è meramente formale, legata all’adempimento di atti burocratici e alla approvazione di delibere su norme e regolamenti. Nessuno spirito manageriale serio, scarsissima disponibilità alla consultazione e al coinvolgimento sistematico dei cittadini. Nonostante l’investimento economico - che comunque è importante - i progetti e le iniziative concrete stentano ancora a partire. Di fronte a tanta inadeguatezza e ai tradizionali ritardi, uno dei commissari, il giovane docente Pietro Micheli, ha preferito presentare lettera di dimissioni e ritornare alla sua attività accademica a Londra.
Allo stesso tempo, ogni proposta di candidatura per la Commissione, fatta allo scopo di allargare ai cittadini l’esercizio di poteri e responsabilità per il miglioramento della trasparenza e della qualità dell’azione amministrativa, si è sempre arenata nelle secche degli accordi tra maggioranza e opposizione: quel posto toccava ad altri, come al solito, per garantire la par condicio….
Il quadro ci pare chiaro abbastanza. Ancora una volta la crisi della politica - che sembra accompagnarsi alla crisi dell’interesse generale – depotenzia l’azione delle istituzioni. Ma la legge resta comunque uno strumento di partecipazione, una modalità possibile per concretizzare il principio di sussidiarietà, un’occasione di empowerment. I cittadini, così, sono chiamati ad assumersi nuove responsabilità nell’ambito della trasparenza: valutazione della qualità dei servizi e del rendimento dei dirigenti pubblici, impegno per la legalità, pressione costante perché le istituzioni rendano conto del loro operato, verifica della qualità della spesa pubblica, controllo delle capacità di governo. Purché non resti – come spesso accade – l’ennesimo caso di sussidiarietà ‘nascosta’ o ‘negata’.

lunedì 14 febbraio 2011

A proposito di Big Society

Dice Adam Bienkov su Twitter: "Cameron: Long waiting list to join the Scouts shows public enthusiasm for the #bigsociety. No, it shows public enthusiasm for the Scouts".

Senonoraquando?

Ma, per capire, adesso bisogna tornare in piazza per 17 giorni di fila? O si riesce a fare prima? #senonoraquando