martedì 15 maggio 2012

Grasso, le amnesie della politica e "Quello che non ho"

Sulle parole del Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, si è montato il solito polverone. Sono bastate due battute in un programma radiofonico (La Zanzara su Radio 24) per riaprire i fronti contrapposti sui meriti e i demeriti del governo Berlusconi nella lotta per la legalità.
In realtà, le parole del Procuratore sono da sempre state chiare e coerenti. Il Governo Berlusconi (attraverso il Ministro dell’Interno Maroni) ha, in effetti, favorito il sequestro dei beni dei mafiosi. Ma non ha fatto nulla contro riciclaggio, corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale e via elencando. Basterebbe ricordare il crollo verticale delle condanne per falso in bilancio dai tempi di Tangentopoli ad oggi. Per un motivo molto semplice: il reato di falso in bilancio - che è cruciale per individuare i reati collegati di corruzione - è stato depenalizzato sotto la Presidenza Berlusconi.
Ma c’è di più. Nel codice antimafia approvato dallo stesso governo nel settembre 2011, con l’obiettivo di riordinare una vasta e complessa macchina normativa, sono state digerite in modo molto ambiguo le norme sulla confisca e l’uso sociale dei beni dei corrotti (lo abbiamo appreso di recente dal Ministro Giarda). In questa opera ‘digestiva’, sono magicamente scomparse le norme sulla destinazione delle risorse mobili - i soldi - alla informatizzazione del processo e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Strana amnesia, no? A conferma ulteriore del fatto - più volte ricordato dal Procuratore antimafia - che sul fronte della corruzione, il Governo Berlusconi non soltanto ha fatto poco, ma ha proprio ‘disfatto’.
E il governo Monti? Il ddl anticorruzione, pur con le integrazioni del Ministro della Giustizia Severino è ben piccola cosa. E rischia pure di essere bocciato in Parlamento. I cittadini sono chiamati in queste ore a vigilare.
Ps.
E' cominciata la trasmissione di Fazio e Saviano: Quello che non ho. Noi sappiamo bene ‘quello che non abbiamo’: tutti i beni e le risorse che i corrotti hanno sottratto ai diritti dei cittadini.

Vittorino Ferla
v.ferla@cittadinanzattiva

sabato 12 maggio 2012

Il welfare alla rovescia: quei medici professionisti della truffa

C’è un medico a Terni che possiede una Mercedes da 65 mila euro. Nulla di male, no? Peccato però che nella sua dichiarazione dei redditi ne dichiari solo 10 mila. Succede così. E questo è solo uno dei tanti casi di professionisti ‘pizzicati’ negli ultimi mesi dalla Guardia di Finanza nel quadro di un programma finalmente importante di lotta all’evasione fiscale.
Dall’inizio dell’anno ad oggi - la notizia è uscita su Repubblica - 190 milioni di imponibile Irpef sono stati sottratti al Fisco mentre mancano all’appello 32 milioni di Iva. Sono cifre importanti che ricadono anche sui conti pubblici e sulla qualità della vita dei cittadini. Il motivo è semplice. A redditi e patrimoni non dichiarati corrisponde meno gettito e, di conseguenza, meno risorse a disposizione dei servizi dello stato sociale.
I casi più esecrabili, dal punto di vista di un cittadino, sono proprio quelli dei medici che approfittano dell’intramoenia allargata: l’attività che, in quanto dipendenti di una Asl, possono esercitare presso studi specialistici esterni alla struttura sanitaria, ma sempre per conto dell’azienda pubblica.
Il meccanismo funziona così: il medico svolge la sua prestazione e il corrispettivo percepito viene fatturato dalla Asl che riceve una percentuale pari al 25 per cento del corrispettivo. Ma se il medico non emette il documento fiscale e nasconde la prestazione all’amministrazione sanitaria intasca tutto il prezzo della visita. Non soltanto, quindi, siamo in presenza di evasione fiscale, ma anche di truffa ai danni dell’erario da parte di un dipendente ‘infedele’.
Proprio questo tema del danno erariale è una delle principali frontiere di azione per la Corte dei conti. Quest’anno la Corte ha contestato danni erariali contro il Servizio sanitario nazionale per 333 milioni di euro, in molti casi ancora in attesa del giudizio contabile. Nel 2011 sono stati già notificati 22 milioni di euro di risarcimento.  
Secondo la relazione annuale stilata dalla Corte dei conti, “la sanità conferma di essere un terreno abbastanza fertile per il verificarsi di fattispecie dannose per la finanza pubblica”. Le stesse informazioni emergono dai recenti rapporti della Guardia di Finanza sulle truffe nelle Asl.
Che cosa si potrebbe fare con quei 333 milioni sottratti al welfare statale e già contestati? Certamente tanto. Per esempio, si potrebbe rifinanziare uno a piacere dei vari fondi sociali azzerati in questi anni. Oppure acquistare nuovi dispositivi tecnologici per i malati nell’ambito di un aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza bloccati da anni. Oppure ancora stabilire finalmente la rimborsabilità di farmaci più appropriati per il contrasto a determinate malattie croniche.
Bastano pochi esempi per spiegare qual è il danno che questi medici-dipendenti arrecano, con i loro comportamenti illeciti, alla intera comunità civile. Quando si parla di sostenibilità dei servizi del welfare bisognerebbe ripartire da qui.

Vittorino Ferla
v.ferla@cittadinanzattiva.it

venerdì 11 maggio 2012

Legge anticorrotti: fate presto!

Il ddl anticorruzione arriva finalmente al voto. Le Commissioni Affari costituzionali e Giustizia cominciano a discutere gli emendamenti al testo. Siamo di fronte ad una tappa cruciale per diversi motivi. Prima di tutto per ridare speranze agli italiani che si aspettano atti importanti dal Parlamento nella lotta contro il malaffare. Nel nostro piccolo, è anche un momento importante per la Campagna Ridateceli! che condivide i propri obiettivi con quelli della legge in via di approvazione.
 
Nelle settimane scorse, Cittadinanzattiva ha suggerito ai deputati alcune proposte di integrazione delle norme. 

In primo luogo, mettere “in chiaro” la confisca e l’uso sociale dei beni dei corrotti, come nei reati di mafia e come già previsto nel codice antimafia. Questa misura diventa necessaria poiché, con l’approvazione del codice antimafia, la norma sulla confisca e sull’uso sociale dei beni dei corrotti che Cittadinanzattiva era riuscita a far introdurre nella Finanziaria del 2007, sembrava finita nel limbo dell’ordinamento. Purtroppo - e stavolta senza “ombra” di dubbio - era stata inoltre abolita la destinazione d’uso delle risorse illecite all’informatizzazione del processo e alla sicurezza scolastica. 

La seconda principale proposta è quella di affidare all’Agenzia Nazionale l’amministrazione dei beni sequestrati e la destinazione dei beni confiscati per reati contro la pubblica amministrazione. Si tratta di una iniziativa di buon senso che ha il merito di semplificare la gestione di quei beni utilizzando l’attività di un ente già costituito, senza inventarsi nuovi inutili marchingegni pubblici, con il rischio di ulteriori sprechi e confusione. 

Infine, con la terza proposta, si sceglierebbe di proseguire il procedimento penale, anche in caso di estinzione del reato, ai soli fini del recupero di beni e di risorse. Ancora una volta una norma di buon senso, che fa salve le garanzie (e, sopratutto, bypassa il conflitto politico sul tema della prescrizione), ma allo stesso tempo mette la comunità nazionale nelle condizioni di rivalersi nel caso di illeciti contro l’amministrazione pubblica recuperando e redistribuendo le risorse a fini sociali.

Ecco perché diventa importante che tutte le parti politiche votino in modo compatto per dare un segnale chiaro alla cittadinanza. La corruzione si combatte prima di tutto aggredendo i patrimoni dei corrotti come indicato, più di trent’anni fa, da Pio La Torre a proposito della mafia. E’ importante però che la polemica politica sulla prescrizione non diventi un ostacolo: non interessa tanto o soltanto che i corrotti scontino le giuste pene, ma piuttosto che i beni ottenuti illecitamente siano restituiti ai cittadini, siano tradotti in servizi ed impiegati per la cura dei beni comuni. 


Vittorino Ferla


v.ferla@cittadinanzattiva.it

martedì 8 maggio 2012

Se quei 30 miliardi in più di stipendi pubblici diventano servizi: risposta a Patroni Griffi

Capire se dalla riforma della PA uscirà qualcosa di buono per i cittadini - meno sprechi, più servizi - è proprio un’impresa. Né ci aiuta la lettera aperta del Ministro Patroni Griffi, pubblicata domenica scorsa dal Corriere della Sera a pagina 5.
Lo stesso quotidiano - con un articolo di Roberto Bagnoli del 5 maggio dal titolo inequivocabile: La controriforma degli statali -stigmatizzava l’accordo del Ministro dell’Amministrazione Pubblica con i sindacati. Secondo il Corriere, gli stipendi pubblici sono arrivati a superare i 170 miliardi di euro annui con retribuzioni lorde medie pari a 49 mila euro annui contro i 35 del privato. Oggi arriva puntuale la smentita del Ministro, con tanto di captatio benevolentiae nei confronti degli statali.

In sostanza, se la stima del Corriere della Sera è corretta, lo stipendio degli impiegati statali è maggiorato del 17 per cento rispetto a quello degli impiegati del settore privato. Ma sul fatto che anche i servizi ricevuti siano percentualmente migliori, molti cittadini avrebbero dei dubbi. In sostanza, in tempi di spending review, solo se si intervenisse sulla voce ‘stipendi pubblici’, ci sarebbero margini per un risparmio di circa 30 miliardi annui, pari ad una manovra finanziaria di media dimensione. Con questi 30 miliardi si potrebbero coprire, nell’ordine, gli 8 miliardi di tagli alla scuola pubblica, i 17 miliardi di tagli alla sanità, i vari fondi sociali (per le politiche sociali, la non autosufficienza, la famiglia, i giovani, gli immigrati, ecc.) che in questi anni sono stati ridotti a quasi nulla. Ovviamente, si tratta di una ipotesi impraticabile in termini meramente contabili, per i più diversi motivi (non ultimo, l’allarme sociale che ne sorgerebbe).

Tuttavia, questi numeri ci interrogano. Il governo - e, in particolare, Patroni Griffi - sono davanti ad un bivio. O tagliare la spesa improduttiva tenendo conto anche degli stipendi (per non parlare delle consulenze…). Oppure, rendere finalmente produttivo questo surplus di riconoscimento economico del lavoro pubblico. Purtroppo, però, la lettera del Ministro al Corriere della Sera rimanda pericolosamente la soluzione del dilemma all’ennesima riforma. Nemmeno una parola poi è spesa sul coinvolgimento della cittadinanza attiva che in questi anni ha cercato di dare il suo contributo, cercando di partecipare ai processi innovativi, di esercitare la valutazione dell’azione amministrativa, di offrire suggerimenti e proposte a partire dalle segnalazioni degli utenti.

Basta ricordare qui che nel 2009 - il Ministro era Brunetta - ne è stata già lanciata una che attende ancora di essere attuata. Tutte le amministrazioni pubbliche dovrebbero - in virtù di quella riforma - predisporre un programma triennale per la trasparenza e dei piani per la performance. La legge prevede anche premi per i dirigenti e gli impiegati più meritevoli. Ma le PP.AA., sia centrali che locali, che hanno proceduto in questa direzione sono ancora pochissime. La stessa Civit - la Commissione indipendente per la integrità, la trasparenza e la valutazione - che dovrebbe promuovere e favorire l’attuazione della riforma si è distinta per l’immobilismo e l’inefficienza (per non parlare della scarsa integrità…).

No. Non ci siamo. In questi tre anni, invece di attuare la legge, i governi hanno tagliato i servizi ai cittadini. Le organizzazioni civiche hanno offerto il loro contributo senza ricevere la stessa disponibilità. Dal Ministro Patroni Griffi ci aspettiamo, dunque, una iniziativa decisa per far funzionare le amministrazioni pubbliche con gli strumenti che sono già disponibili e con la partecipazione diretta dei cittadini. Non ci piace che si confondano ulteriormente le responsabilità aumentando la nebbia delle leggi con l’ennesima riforma annunciata.

(Questo contributo proviene dalla Campagna Ridateceli! di Cittadinanzattiva)


Vittorino Ferla

v.ferla@cittadinanzattiva.it

domenica 6 maggio 2012

Caro Giarda, che fine hanno fatto quei 1114 beni confiscati?

Adesso finalmente lo sappiamo. I beni confiscati nell’ambito di procedimenti contro reati di corruzione sono 1114. Ma nemmeno il Governo sa bene dove  stanno, di chi sono, quanto valgono e come potrebbero essere riutilizzati. Lo ha rivelato il 26 aprile scorso il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, rispondendo ad un question time in Parlamento, provocato da una interrogazione ispirata da Cittadinanzattiva (e presentata dalla deputata Anna Rossomando). 
Certo, ci saremmo aspettati un po’ più di informazioni e di consapevolezza da parte di chi si è preso l’impegno di lottare contro gli sprechi delle amministrazioni pubbliche e di recuperare risorse sufficienti per fronteggiare la crisi. Ad oggi, nonostante le ripetute richieste, nessuna amministrazione pubblica si era mai presa il disturbo di fornire dati sull’attuazione della norma sulla confisca e l’uso sociale dei beni dei corrotti. E questo in barba ad ogni minimo parametro di trasparenza.
Fatto sta che la legge è caduta davvero nell’oblio. E proprio in un momento in cui i soldi nelle tasche dei contribuenti diminuiscono ogni giorno di più e c’è un bisogno disperato di recuperare risorse. Basti pensare che questi 1114 beni sono stati confiscati nell’ambito di appena 21 (!) procedimenti in corso. Un numero veramente esiguo, mentre la corruzione dilaga: secondo la Corte dei conti il ‘valore’ del fenomeno ammonta a 60 miliardi l’anno, il che corrisponde a 1000 euro di tassa occulta che ciascun cittadino italiano paga per il mantenimento dei corrotti.
In più, con l’assorbimento della norma nel codice antimafia, è pure caduta la destinazione dei soldi dei corrotti all’edilizia scolastica e all’informatizzazione del processo. Viene meno una destinazione d’uso importante, ma in questo caso la responsabilità deve essere attribuita al governo precedente. Per parte sua, il governo attuale ha preso l’impegno - sempre per bocca del Ministro Giarda – di monitorare in tempi brevi lo stato di attuazione della norma.
Cittadinanzattiva – impegnata da anni per la confisca e l’uso sociale dei beni dei corrotti – chiederà di poter verificare presto i risultati di questo monitoraggio e metterà a disposizione allo scopo le pagine di questo blog e le altre iniziative della Campagna Ridateceli! I soldi della corruzione al servizio dei cittadini.

Vittorino Ferla
v.ferla@cittadinanzattiva.it

martedì 1 maggio 2012

Cl e corruzione: la teologia degli impuniti

"Qualche pretesto dobbiamo averlo dato". Arrivano fin qui le ammissioni di don Julian Carròn, il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ospitate oggi 1° maggio dal quotidiano Repubblica, per commentare le notizie relative al sistema di potere e corruzione messo in piedi in Lombardia dal movimento da lui guidato (Carròn, da chi ha sbagliato un'umiliazione per Cl). Carròn riconosce che potrebbero esservi 'sbagli', 'errori', 'mali' di singoli. Ammette che, tra questi, alcuni potrebbero essere reati (in attesa che qualche giudice riesca però a dimostrarlo). Ma tutto finisce qui.

"E questo - chiude infatti sbrigativamente - sebbene Cl sia estranea a qualunque malversazione e non abbia mai dato vita ad un 'sistema' di potere". Ovviamente, Carròn non si preoccupa minimamente di portare fatti a sostegno di questa sbrigativa assoluzione. E dire che ci sarebbe parecchio da spiegare. Non soltanto con riguardo alle ultime vicende che ruotano intorno al presidente della Lombardia. Ma anche ai tanti uomini di Cl ben inseriti ai vertici dei luoghi di potere nella Regione, dalle Fondazioni, alle Fiere, alle Asl. O ai diversi casi in cui altri esponenti minori di Cl, in passato, sono stati pescati con le mani nel sacco.

Non conviene ritornare su questi fatti. La lista è lunga e in molti si sono già esercitati. Ciò che oggi ci tocca segnalare è l'uso della religione al fine di fabbricare una patente di impunità.

"Chiediamo perdono se abbiamo recato danno alla memoria di don Giussani con la nostra superficialità e mancanza di sequela". Tutto chiaro, no? I danni recati alla comunità civile non contano. Non importa a Carròn che risorse pubbliche siano state sottratte ai cittadini. Né che i diritti dei più siano stati sacrificati sull'altare degli interessi dei pochi capetti di Comunione e Liberazione. Basta chiedere scusa a don Giussani.

E ancora: "Come gli israeliti, dovremo imparare a essere coscienti della nostra incapacità a salvarci da soli, dovremo imparare da capo quello che pensavamo già di sapere, ma nessuno ci può strappare di dosso la certezza che la misericordia di Dio è eterna". Non c'è miglior salvezza di quella che si ottiene riaffermando la fedeltà alla Chiesa, a scapito della giustizia 'umana'. In questa etica sovraordinata, alla fine, la misericordia di Dio cancella tutto. Non c'è bisogno di render conto ai propri simili, per quanto peccatori. Alla faccia di chi i danni li ha subiti sul serio, ogni concetto di responsabilità viene schivato, eluso, obliterato. Ne deriva un'etica pubblica assai fragile e, forse, possiamo concludere qualcosa sul perché la corruzione è così diffusa e tollerata nel nostro paese.

Basta scegliersi da soli a chi rispondere, insomma. Il Tribunale di Dio è certamente il migliore. In fondo, il giudizio è rimandato a sentenze imperscrutabili che saranno scritte a cose strafatte, dopo il nostro saluto a questa terra (certo, questa tendenza a scegliersi il giudice che più piace ci pare di averla già sentita). In più, il perdono è molto probabile, specie per quei credenti che si sono rivelati un tantino deboli ed esposti alle lusinghe del denaro del potere.

I credenti rispondono solo a Cristo (se sono di Cl un pochino anche al 'Gius'): è proprio così, don Carròn?

v.ferla@cittadinanzattiva.it