venerdì 19 ottobre 2012

Anticorruzione ok, ma la trasparenza è una chimera

Il ddl anticorruzione passa al Senato e ora ritorna alla Camera per la quarta lettura. Certamente un risultato importante se si pensa al degrado della vita pubblica in questo momento storico. Il provvedimento è, da un lato, il frutto della maggiore autonomia del governo dei tecnici dalle pressioni delle diverse forze politiche, e, dall'altro, il frutto di una pressione molto forte da parte della società civile stanca di assistere allo squallore diffuso dei comportamenti degli ufficiali pubblici, siano essi politici o funzionari.

Alcune misure sembrano particolarmente efficaci: i protocolli di legalità obbligatori, il monitoraggio costante delle prefetture sulle aziende esposte al rischio di penetrazione mafiosa, la maggior tutela dei segretari comunali e provinciali, il divieto di collocare i pubblici impiegati condannati anche con sentenza non passata in giudicato in uffici deputati alla gestione delle gare di appalto (misura che serve ad ovviare la sostanziale disapplicazione della pena accessoria dell'estinzione del rapporto di pubblico impiego), la delega al Governo per la non candidabilità in organismi di rappresentanza politica di soggetti condannati per corruzione e reati similari.

Si tratta di misure che in qualche modo contribuiscono a creare un sistema di preallarme rispetto agli inizi dei fenomeni di corruttela. Ed è quanto suggeriva la Commissione Cassese già nel 1996.

Letta nel suo complesso, però, la legge approvata assume più un valore simbolico che reale, a causa delle numerose lacune che i diversi passaggi parlamentari non sono riusciti a colmare.

In primo luogo, non convince la formulazione dei nuovi reati. Per esempio, sono previste pene davvero minime per reati come il traffico di influenze. Ciò impedirà di condurre indagini approfondite attraverso, tra l'altro, l'uso delle intercettazioni. Il reato di corruzione fra privati – che serve a perseguire le forme di corruzione conseguite al processo di esternalizzazione dei compiti pubblici (società miste, consulenti, general contractor) - riguarderà solo i vertici delle strutture private e mai i quadri intermedi o i dipendenti: esattamente al contrario delle raccomandazioni del rapporto GRECO (il Gruppo degli Sati Europei contro la Corruzione).

mercoledì 17 ottobre 2012

Corruzione: Patroni Griffi ancora studia...

Sulla corruzione il Governo non deve fare rapporti ma trovare soluzioni. Ieri Repubblica ha diffuso i dati contenuti nel rapporto sulla corruzione in Italia che sarà presentato lunedì 22 ottobre, a palazzo Chigi, e poi ancora il 6 novembre alla Treccani. La corruzione costa all’Italia 60 miliardi, costi valutati dalla Corte dei conti cui vanno aggiunti quelli 'indiretti'.

Si legge nel rapporto: "Si pensi a quelli connessi ai ritardi nel definire le pratiche amministrative, al cattivo funzionamento degli apparati pubblici, all’inadeguatezza, se non inutilità, delle opere pubbliche, dei servizi pubblici, delle forniture pubbliche". Eccoci ai "costi striscianti", al "rialzo straordinario che colpisce le grandi opere, valutabile intorno al 40 per cento". Sta qui anche qui la perdita di competitività del Paese. Si legge nel rapporto che “la corruzione, se non combattuta adeguatamente, produce costi enormi, destabilizzando le regole dello Stato di diritto e del libero mercato”.


Ma a ripetere queste cose che ormai sappiamo tutti il Governo rischia il ridicolo: da un lato, se non ci fosse la mobilitazione di migliaia di cittadini non riuscirebbe nemmeno a fare approvare una legge anticorruzione che è soltanto un pannicello caldo; dall’altro, ancora produce rapporti mantenendo in piedi l’ennesima commissione per lo studio della corruzione.

Sul piano dei numeri, il rapporto del Governo dimentica la cosa fondamentale: che il costo della corruzione è prima di tutto per le famiglie, con il progressivo taglio dei servizi sociali, scolastici e sanitari. Negli ultimi anni calcoliamo 17mld di tagli alla sanità, 8mld di tagli alla scuola, un paio di miliardi di tagli alle politiche sociali. Con conseguenze pesantissime sulle tasche dei singoli cittadini.

Sono quattro le azioni concrete che il Governo dovrebbe fare subito per essere credibile: 1) rendere trasparenti gli atti della PA fin dalla loro formazione e, in particolare, rendere pubblici e comprensibili i bilanci di enti pubblici e partiti a tutti i livelli territoriali; 2) attribuire alla Civit (futura commissione anticorruzione) piena autonomia dalla politica e poteri ispettivi e sanzionatori reali, perché finché sarà così nessun dirigente pubblico sarà libero di denunciare episodi di peculato e malversazione; 3) allungare i tempi della prescrizione per i reati contro la pubblica amministrazione per garantire lo svolgimento dei processi e la condanna dei corrotti; 4) recuperare le risorse sottratte e restituirle alla collettività, anche attraverso la confisca e l’uso sociale dei beni dei corrotti.

Se non si procederà così, questo rapporto governativo sarà soltanto l'ennesimo volume da riporre in biblioteca.

Vittorino Ferla
v.ferla@cittadinanzattiva.it


lunedì 15 ottobre 2012

Sapere è potere, anche per i cittadini

C’è una paroletta magica che aiuterebbe l’Italia a combattere la corruzione così diffusa nelle istituzioni e che tanto pesa sullo sviluppo del paese. Ad intervenire seriamente sugli sprechi di risorse delle amministrazioni e aumentare l’investimento sui diritti. A migliorare la qualità dei servizi, garantendo l’efficacia, l’efficienza e la produttività delle azioni amministrative. La paroletta è: trasparenza.
Con la legge Brunetta del 2009 sembrava che il problema fosse stato risolto. Accessibilità totale alle informazioni della PA: così è scritto nella legge. Peccato che ancora oggi siano le amministrazioni pubbliche a decidere che cosa comunicare ai cittadini. Magari con un bellissimo e accessibile sito web, certo. Ma i contenuti? Tutti decisi dall’alto. Poco o nulla si sa sulla formazione degli atti delle amministrazioni pubbliche. Poco o nulla si sa dei bilanci, spesso scritti in modo incomprensibile: il che impedisce di capire come vengano davvero spesi i soldi dei cittadini. Insomma, il principio della "accessibilità totale" resta una mera affermazione di principio: nessuno può vincolare la pubblica amministrazione attraverso, ad esempio, un sistema di obbligo-sanzione. Men che meno il Ministro della Amministrazione pubblica. Ecco perché fa un po’ sorridere la “Bussola della trasparenza”, l’iniziativa del Dipartimento della Funzione Pubblica che vorrebbe dare la classifica della trasparenza di Ministeri ed enti pubblici ma che si riduce ad una classifica sull’accessibilità dei siti web.