sabato 11 giugno 2011

Referendum: votare, votare, votare

Votare, votare, votare. Il referendum di tipo abrogativo è indetto «per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali» (art. 75 Cost.). Si tratta di uno dei principali strumenti di democrazia diretta contemplati nel nostro ordinamento, mediante il quale ciascun cittadino può incidere in prima persona nell’esercizio dell’attività legislativa.

In questo senso è spesso definito, direi correttamente, come uno strumento di “sussidiarietà civile”, appunto perché chiama i cittadini a una mobilitazione ausiliaria all’attività (e spesso all’inerzia) legislativa del Parlamento, anche sul presupposto di un possibile disaccordo tra coscienza pubblica e Parlamento. Argomenti simili, d’altra parte, utilizzò Aldo Moro, all’epoca giovane costituente, intervenendo nel dibattito sul referendum abrogativo. In quell’occasione, Moro precisò che «ammettere il referendum significa ritenere appunto la possibilità di questo disaccordo, la possibilità di questa minore comprensione da parte delle Camere nei confronti di una evoluzione della coscienza pubblica».

Questo è uno dei motivi, in sé già sufficiente, per andare a votare.

Viceversa, negli ultimi anni abbiamo assistito al tentativo reiterato dei partiti di far saltare la partecipazione referendaria.

Prima cercando di spostare la data del voto per renderla la più penalizzante possibile dal punto di vista della partecipazione. E' poi seguito un prolungato black-out politico-informativo in strumentale attesa dei risultati elettorali. Solo a pochi giorni dal voto, si è cominciato finalmente a parlare di referendum, spesso limitando il dibattito alle prese di posizioni tattiche, con il solito fronte di partiti astensionisti per cui meno se ne parla meglio è.

La televisione pubblica è stata lo strumento principale di questa opera di passivizzazione dei cittadini. Ancora una volta il gioco è truccato e antidemocratico: ben poco spazio viene concesso al "conoscere per deliberare" determinante per la scelta dei cittadini, scarso approfondimento sulle ragioni degli uni e degli altri, poca informazione sui veri effetti del voto. Le tribune elettorali sono come la solito ridotte a misere passerelle in orari improbabili. Solo negli ultimi giorni il Garante della comunicazione è intervenuto. La Commissione di Vigilanza ha adottato tardivamente il regolamento.

Nonostante le furberie e le lentezze del mondo politico, si respira una buona aria tra le persone. Questa volta potrebbero votare in molti, il quorum potrebbe essere raggiunto. Bisognerà, dopo il voto, ragionare sulla riforma dello strumento per renderlo più efficace e spendibile. Intanto, andiamo tutti a votare!


v.ferla@cittadinanzattiva.it

domenica 5 giugno 2011

L'eredità delle recenti elezioni comunali

Chi ha vinto e come alle elezioni amministrative? Che cosa ci hanno insegnato? Quali novità ci consegnano? E che cosa dobbiamo adesso aspettarci? Sono domande che in molti si fanno, soprattutto dopo la corsa ad intestarsi la vittoria (o a rigettare la sconfitta) che i partiti non hanno mancato di fare.

Partecipazione e cambiamento
Il primo dato importante è che hanno vinto i cittadini. Sia nel senso che hanno partecipato diffusamente facendo sentire il proprio orientamento. Sia nel senso che hanno dato un potente segnale di cambiamento.
Non è scontato sottolinearlo, oggi, dopo anni in cui abbiamo sentito ripetere come fatti immutabili, a destra e a sinistra, le tesi sull'immobilismo degli elettori. Da una parte - a destra - sembrava che l'aver dato fiducia una volta sembrava averla data per sempre. Dall'altra - a sinistra - era ormai scontato che dal popolo bue non ci si poteva più aspettare nulla di buono. E' andata diversamente, con buona pace di tutti.
Ancora una volta i cittadini hanno dimostrato di sapersi fare ascoltare. Lo dimostra, su tutti, il caso di Milano.