martedì 24 febbraio 2009
Sicurezza partecipata, oltre la retorica anti-ronde
Il decreto anti-stupri sta creando in queste ore un acceso dibattito. Alcune misure hanno scatenato forti preoccupazioni. Si teme che il decreto possa mettere in discussione il principio di legalità e il monopolio della forza da parte dello stato. O che possa autorizzare i privati cittadini a trasformarsi in sceriffi o giustizieri. Si tratta di preoccupazioni corrette, comprensibili, condivisibili. Anche da parte dell’autore di questo blog.
Oltre i pregiudizi
In verità, però, bisogna riconoscere che queste preoccupazioni sono fondate più su pregiudizi che su informazioni. E i media che accusano il decreto di prevedere la legalizzazione della giustizia “fai da te” con il riconoscimento delle c.d. ronde di privati cittadini non fanno – onestamente – un buon lavoro.
L'articolo 6 del decreto legge (“Piano straordinario di controllo del territorio”), infatti, contiene due disposizioni molto chiare.
Al comma 3 si legge: “I Sindaci possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, previa intesa con il Prefetto che ne informa il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle Forze di polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale”.
E al comma 4 si precisa: “Le associazioni sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto. Con decreto del Ministro dell'interno, da emanare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, sono determinati gli ambiti operativi, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e sono disciplinate le modalità di tenuta dei relativi elenchi”.
Capire meglio
Nessun riferimento, dunque, a ronde armate, né all’esercizio di funzioni di ordine pubblico da parte dei privati cittadini. Piuttosto, un’attività di tipo sussidiario che integra l’azione pubblica.
Questi gruppi di cittadini saranno coordinati dai prefetti, collaboreranno con i sindaci, saranno sprovvisti di armi, ma dotati di telefonini e ricetrasmittenti con cui avvertire le forze dell'ordine, saranno formati prevalentemente da associazioni di ex agenti di polizia, carabinieri, forze armate e altri corpi dello Stato.
Sarà data precedenza, ha spiegato il ministro dell'Interno Roberto Maroni ad associazioni di carabinieri e poliziotti in congedo, «persone che sanno quello che fanno», ha aggiunto il titolare del Viminale. Ma solo nel caso in cui non faranno parte forze dell'ordine in congedo il dl prevede che saranno senza oneri a carico delle finanze pubbliche. Gli elenchi dei volontari verranno tenuti dalle Prefetture e il modello è quello dei volontari per i vigili del fuoco o quello dei "City Angels", volontari che a Milano operano da 15 anni. L'obiettivo, ha voluto precisare a tal proposito Maroni, è quello di passare «dalle ronde fai da te ai volontari per la sicurezza, regolati e controllati».
Sarà poi un decreto del ministro dell'Interno, da emanare entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, a determinare gli «ambiti operativi» del provvedimento. Una specifica che sarebbe stata richiesta dal Quirinale.
Sicurezza partecipata
Come possiamo definire, in breve, questo tipo di attività? La risposta la dà il capo della Polizia, Antonio Manganelli. “Non chiamiamole ronde – dice - ma ‘sicurezza partecipata’, l’unica ricetta possibile oggi, io la chiamo sicurezza civica» ha detto. «L’obiettivo della tranquillità sociale si può realizzare attraverso la partecipazione del cittadino allo svolgersi della vita sociale. Dobbiamo cercare di fare squadra”. E' una strada interessante. Tanto più perché offre la possibilità di mettere sotto controllo rischi ed esagerazioni, evitando che gruppi di facinorosi possano davvero immaginare di farsi giustizia da soli.
In verità, il tema della sicurezza partecipata (o sussidiaria, o civica) è molto diffuso, per esempio, nell’esperienza americana e anglosassone, in generale. E meriterebbe un’attenta analisi e diffusione. Ma esistono dei casi anche da noi (li ha raccolti, svolgendo un ottimo servizio, la rivista telematica Labsus.org).
Basti pensare al caso dei City Angels che da anni operano a Milano. I responsabili di questa associazione tracciano molto bene il confine tra le ronde e la cittadinanza attiva: “Se per ronde si intendono persone che segnalano situazioni sospette alle forze dell'ordine, si tratta di cittadini benemeriti che fanno ciò che chiunque dovrebbe fare, e non si può nemmeno parlare di ronde nel senso etimologico della parola. Se invece per ronde si intendono persone che intendono pattugliare zone delle città sostituendosi alle forze dell'ordine, sono non solo inutili, ma anche pericolose. Perché si tratta di persone impreparate che rischiano di trovarsi in situazioni pericolose e di dover essere soccorse, anziché soccorrere”.
In pratica la prima modalità d’azione è riconducibile al dettato dell’articolo 118 ultimo comma della Costituzione, visto che i cittadini si prendono cura di un bene comune insieme alle forze dell'ordine e agli enti locali. Le ronde, invece, organizzate al di fuori di qualsiasi collaborazione con le amministrazioni, non hanno legittimità e sono potenzialmente pericolose.
Il caso dei City Angels
I City angels sono stati il primo gruppo italiano di cittadini attivi nel campo della sicurezza ma anche della solidarietà. L’opera di contrasto alla criminalità da strada è gestita soprattutto attraverso la deterrenza visiva (la loro divisa è un basco blu e una giubba rossa), ma effettuano anche arresti in flagranza di reato, come la legge consente a qualunque cittadino. “In 14 anni di attività – spiegano - abbiamo sedato 600 risse, sventato 300 furti, 250 borseggi e 120 scippi; ma abbiamo anche servito 3milioni di pasti ai senzatetto e distribuito 900mila vestiti”.
L’abbinamento tra solidarietà e sicurezza è, secondo Furlan, il punto di forza dell’associazione che, peraltro, è fortemente multietnica, con la presenza di ‘angeli’ di diciassette nazionalità (romeni, albanesi, ucraini, marocchini, sudamericani, africani) che svolgono funzioni di mediazione culturale. Un luogo, quindi, di realizzazione vera della cittadinanza anche per immigrati che formalmente non la vedono riconosciuta.
Altri esempi
Ma non mancano altri esempi.
In due comuni in provincia di Chieti, precisamente ad Ari e Rizzacorno, sono stati attivati giri notturni di sorveglianza passiva. I volontari sono consapevoli del loro ruolo: a turno, ogni notte, due persone, con la consapevolezza di non possedere i requisiti per compiere arresti o farsi giustizia da soli, viaggiano in auto per sorvegliare sui sonni tranquilli dei propri vicini di casa. ‘Armati’ di telefonini e di agenda con tutti i numeri utili gli abitanti di Rizzacorno si conoscono benissimo e se notano qualcosa di sospetto o un’auto non famigliare avvisano subito gli abitanti dell’abitazione e soprattutto le forze dell’ordine. Ad Ari, i volontari che si sono attivati, oltre a compiere sorveglianza passiva infondono maggiore sicurezza negli abitanti. L’iniziativa, in questo paese, è stata promossa dal sindaco che ha agevolato i volontari con una delibera dell’assemblea civica.
Il Comune di Ravenna, per parte sua, ha attivato un servizio di mediazione di comunità per promuovere il miglioramento del quartiere della stazione, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la percezione della sicurezza. Gli operatori incontrano in un “punto di ascolto e di cittadinanza attiva” i residenti, i commercianti, i frequentatori della zona e le associazioni di migranti, raccogliendo segnalazioni e proposte. In pratica, una significativa esperienza di "sicurezza condivisa" che supporta lo sforzo del Comune per rendere la zona più sicura attraverso l’animazione, la rete di servizi per avvicinare le persone in condizioni di marginalità, azioni di monitoraggio notturne per scoraggiare in tempo atti di vandalismo e simili, presidio di fronte alle scuole e agli uffici postali, nei mercati e nelle fiere.
Esperienze altrettanto interessanti sono state compiute in questa direzione dalla Regione Liguria con una legge ad hoc e dalla città di Genova, che in questo momento sembrano all'avanguardia su questo punto. Chi non ricorda, d'altronde, l'accordo di qualche settimana fa tra il Comune di Genova e le prostitute della città vecchia per la cura del decoro urbano e della sicurezza?
Per concludere
Insomma, talvolta urlare allo scandalo serve a poco. Il rischio è molteplice: non si affronta un obiettivo problema di interesse pubblico (la sicurezza, in questo caso), si blocca qualsiasi ipotesi di cambiamento, non si sviluppano risposte originali ed efficaci. E’ un peccato che, in un caso come questo, remore ideologiche infondate rinnovino tradizionali diffidenze nei confronti dell’azione volontaria dei cittadini e impediscano di cogliere le opportunità provenienti da una corretta applicazione del principio di sussidiarietà previsto dalla nostra stessa Costituzione.
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