E’ possibile esprimere un punto di vista civico sullo scandalo della pedofilia nella chiesa? E’ possibile cioè valutare i fatti e formulare dei giudizi a partire da una prospettiva diversa da quelle che oggi sembrano legittimate a farlo, quelle del credente o del non credente, del cattolico e del laico, del teologo o del filoso, dello storico o del pastore, e via elencando?
La risposta più comune – lo sappiamo – sarebbe: no! Gli argomenti contrari – con una semplificazione estrema – possono ridursi a questi. La Chiesa non ha nulla a che fare con la dimensione temporale e si occupa di peccati. Per i reati dei singoli c’è la magistratura. Che deve fare il suo corso, ma che si occupa appunto dei criminali.
Viceversa, ci sono diversi motivi per cui i cittadini possono esprimere un punto di vista sulla questione.
Primo: i diritti. Le persone che sono state oggetto di abusi – in altre parole, vittime - sono cittadini come tutti gli altri. La violazione dei loro diritti non è, pertanto, meno significativa che in altri casi. Chiunque si ponga – puramente e semplicemente – dal punto di vista dei cittadini deve tener conto di queste violazioni, segnalarle e denunciarle. Inoltre, nei casi raccolti - migliaia in Italia e nel mondo – la violazione è avvenuta all’interno di strutture che hanno caratteristiche precise e ricorrenti che possono dunque essere oggetto di una valutazione che le accomuna. Ciò trasforma questi fatti in un problema di interesse generale. Non più soltanto una vicenda giudiziaria terza, con la sua dinamica interna tra colpevole e vittima. Il punto di vista civico si gioca anche nell’abito di una sfera pubblica, segnata dalla ricorrenza di quelle condizioni generali nelle quali si compie la violazione del diritto.
Secondo: la trasparenza. Per anni i reati commessi nelle strutture ecclesiali sono stati nascosti. La soluzione del problema avveniva in condizioni di segretezza o, più semplicemente, non avveniva. Ai cittadini, viceversa, va riconosciuto in tutte le situazioni in cui si stabilisce una relazione con una istituzione che esercita poteri e responsabilità un accesso totale alle informazioni che riguardano i loro diritti. Tra i quali per esempio c’è anche quello alla sicurezza e all’integrità fisica. I casi di abusi e violazione – di qualsiasi genere – che si verificano in una qualsiasi struttura pubblica sono normalmente esposte allo scrutinio pubblico. Anche allo scopo di evitare che possano ripetersi. Viceversa, il silenzio che ha circondato per anni le situazioni oggi finalmente riconosciute e denunciate ha avuto due gravissime conseguenze: da una parte la diffusione di atti che, in una situazione di trasparenza, si sarebbero potuti intercettare e prevenire; dall’altro, la ‘vittimizzazione secondaria’ di tutti quegli abusati che, dopo aver subito la violazione, hanno dovuto soffrire anche il silenzio, il rifiuto, la marginalizzazione e l’esclusione.
Terzo: la responsabilità. I ragionamenti fatti finora ci portano alla valutazione del modo di agire delle strutture ecclesiali. Anche in questo caso, nonostante qualsiasi argomento di altra natura (teologico o storico, ecc.), è possibile formulare un giudizio sulla gestione della vicenda da parte degli uomini della chiesa e, in particolare, di quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Il modo in cui si governano i problemi interni è un fattore di valutazione da parte della comunità. In questo caso, nessun argomento è possibile usare rispetto ad una presunta autorefenzialità di quelle strutture, come qualcuno ha cercato di fare. Non si tratta di problemi interni alla chiesa, per il semplice fatto che gli abusi sono avvenuti dentro scuole, seminari, oratori, chiese. Luoghi nei quali si svolgono funzioni di carattere pubblico, in particolare di carattere educativo. E nelle quali, in ogni caso, si stabiliscono relazioni pubbliche con cittadini che usufruiscono di servizi formativi e culturali. D’altra parte, se si ritiene giustamente che un oratorio eserciti funzioni pubbliche che sono riconosciute e sostenute, perché dovrebbe divenire irresponsabile quando viola dei diritti? In sostanza, le vittime, i familiari delle vittime, la comunità di riferimento di quelle strutture (in altre parole: i cittadini comuni) hanno facoltà di chiedere il conto.
Quarto: la fiducia. Il modo in cui si affrontano e risolvono queste situazioni di crisi – che ovviamente potrebbero capitare in altri contesti – è cruciale anche per rafforzare le relazioni di fiducia. Le famiglie che affidano i propri figli alle parrocchie o alle scuole o agli oratori lo fanno sulla base di un rapporto fiduciario. Ritengono di poter stare tranquille e non temono alcunché. La gravità di queste vicende non sta soltanto negli abusi gravissimi che sono stati compiuti, che già da soli minano questo rapporto di fiducia. Ma sta anche nel fatto che a questi abusi non si sia immediatamente rimediato. Questo aumenta il clima di sospetto e la percezione del rischio. I cittadini hanno tutto il diritto di valutare se queste strutture siano o meno affidabili e se i propri figli debbano frequentarle o starne alla larga. Che cosa succederebbe se fatti del genere avvenissero, per esempio, negli ospedali?
Come si vede, ci sono tutte le condizioni per esprimere un punto di vista civico su una questione simile.
A poco valgono due argomentazioni difensive che hanno l’obiettivo di sollevare queste strutture dal giudizio della comunità.
La prima è: ma la lotta alla pedofilia dovrebbe essere condotta a tutto campo! Ma qui non si sta facendo una generica lotta contro la pedofilia. La questione non è ideologica, ma pratica. In queste settimane sono sotto giudizio degli atti concreti e specifici che si sono verificati in strutture che li hanno coperti con il segreto. Di questo si parla e si deve giudicare. Ed è propria di un punto di vista civico la valutazione di situazioni concrete e il tentativo di risolvere un problema di interesse pubblico, al di là degli orientamenti politici, filosofici o religiosi di ciascuno.
La seconda argomentazione difensiva è: perché tutto questo accanimento contro la Chiesa? Ammesso che in alcuni commentatori vi possa essere un’acrimonia del tutto particolare e fondata su motivazioni di altra natura, davvero si può pensare che un allarme sociale generalizzato non sarebbe esploso a livello internazionale se vicende simili si fossero radicate, diffuse e consolidate, per esempio, nelle scuole o negli ospedali italiani, irlandesi, tedeschi, australiani, americani, ecc.? Davvero si può ignorare che il livello di gravità – e dunque di allarme sociale – aumenti quando determinate violazioni si realizzano in determinati contesti?
In conclusione, liberare alcune questioni da improprie sovrastrutture culturali, illuminare i fatti alla luce della loro concretezza, valutare sulla base delle esperienze la fallibilità delle strutture umane, incarnare il punto di vista delle persone in carne ed ossa nella direzione della coerenza con la realtà e del rispetto dei diritti ci pare che rappresenti un progresso in tutte le situazioni. E che aiuti ad imparare un metodo e uno stile di discernere che sono forse più corretti e universalmente accettabili.
Nessun commento:
Posta un commento