Finisce maluccio, questo 2010, con il 'NO' del governo brasiliano all'estradizione di Cesare Battisti.
Ancora una volta prevale l'idea che la violenza sia giustificata e accettabile come strumento della politica.
Di nuovo vince quell'eredità ideologica che ancora alligna in molti ambienti, anche sedicenti 'intellettuali', come quelli che hanno coperto, tutelato e foraggiato Battisti nel suo esilio in Francia.
Oggi non possiamo fare a meno di stigmatizzare quella perversa ossessione che, a cominciare dalle devastazioni delle manifestazioni di piazza, passando via via per tutti gli stadi della violenza, per finire all'omicidio politico, nobilita come combattenti di giuste cause dei criminali che disprezzano il diritto (come garanzia di tutela e di convivenza per ciascuno) e i diritti (come patrimonio intangibile di tutti i cittadini).
Riconoscere alla ferocia e al sopruso una legittimità nel dibattito politico è una responsabilità grave, che va contrastata con i mezzi che la ragione pubblica, il dialogo e le norme ci mettono a disposizione.
In secondo luogo, e come conseguenza di quella ossessione, vi è l'invisibilità delle vittime.
In questo caso si tratta del maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, 52 anni, del poliziotto 25enne Andrea Campagna, del gioielliere Torregiani, 43 anni, del macellaio Lino Sabbadin, 46 anni, assassinati tra il '78 e il '79.
E con loro, i famigliari, colpiti moralmente e fisicamente da queste violenze (il figlio di Torregiani è paraplegico da allora).
Tutti evidentemente nemici di qualche presunta giusta causa, tutti giudicati colpevoli di non si sa quale collusione dal tribunale improvvisato della cecità ideologica. Dove sono oggi i presunti difensori del popolo di fronte alla negazione dei diritti di questi innocenti?
I cittadini comuni raramente hanno avuto strumenti efficaci per difendersi da questi sopraffattori: sia quelli che hanno colpito, hanno sparato, hanno fatto scoppiare le bombe; sia quelli che hanno scritto, aizzato, coperto la violenza approfittando dei loro pulpiti.
Cominciamo allora a riconoscerli questi chierici (l'elenco sarebbe lungo...) e a boicottarli, a non leggere i loro articoli, a non comprare i loro libri, a disobbedire a questa paccottiglia culturale con la cultura e il dialogo, a non condividere la responsabilità di farne anche dei maestri di pensiero. Affinché si assumano, almeno ogni tanto, quella responsabilità che deriva dalla professione intellettuale, usata spesso come arma ideologica.
Infine, visto che la politica e le istituzioni pubbliche colluse non lo fanno, coltiviamo il diritto, come fonte di difesa e di riparazione di ogni sopruso, e tuteliamo i diritti, come presidio a tutela delle vittime.
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