martedì 29 marzo 2011

Sussidiarietà e poliarchia: una risorsa in più

Stefano Ceccanti, costituzionalista e senatore, offre qualche spunto di riflessione a proposito del volume di Gregorio Arena e Giuseppe Cotturri, Il valore aggiunto. Come la sussidiarietà può salvare l'Italia, Carocci, Roma, 2010.


Non è un gioco a somma zero
La tesi di fondo è che la sussidiarietà orizzontale non è un gioco a somma zero; senza un nuovo patto tra cittadini e istituzioni nessuno è in grado di realizzare bene quelle attività di interesse generale di cui parla il quarto comma dell'articolo 118, come riscritto nel 2001 dalla riforma del Titolo V. "Sforzi congiunti e reciproco sostegno" è la ricetta evidenziata a pag. 12. Gli interventi pubblici diretti rischiano di essere troppo invasivi, mossi da ruoli eccessivamente pedagogici e di "direzione dall'alto", di negare "un'idea di libertà" (pagg. 14/15).



Due strade diverse
Dopo di che è vero che si aprono strade diverse, talora alternative: c'è una linea pubblico-progressiva depurata dallo statalismo ma che non rinuncia a un ruolo regolativo forte della politica (che gli Autori apprezzano, anche con un certo favore per la gestione affidata soggetti no profit o comunque che abbiano forme di responsabilità sociale) e una privatistico-limitativa (dove la politica conterebbe di meno e ci sarebbe un favor per il privato) (pagg. 15-17).
In realtà le due questioni sono più distinte di quanto forse non dicano i curatori. Il nuovo 118 si iscrive comunque in una seconda Parte della Costituzione, mentre la Prima attribuisce finalità forti alla Repubblica (non necessariamente allo Stato). Difficile ammettere un'abdicazione a un ruolo regolativo forte dello Stato, altrimenti a un sistema di squilibrio statalista se ne sostituirebbe un altro di segno opposto. L'idea di poliarchia (che qui è sotto traccia) evoca un equilibrio, almeno tendenziale.

La regola della concorrenza
Diversa invece la seconda questione quella di un favor attribuito a questa o a quella categoria di soggetti gestori, che, caso mai, va giustificata come eccezione a una regola. Se si deve gestire per produrre beni pubblici in cui si incarna l'"interesse generale" la regola deve essere la concorrenza tra i soggetti. E' nelle aree dove è problematica la concorrenza che si può nel caso privilegiare una tipologia di soggetti che ha caratteristiche meritorie, magari spingendo le realtà simili a cosorziarsi. Per questo, nella ricostruzione dottrinale che fa Silvia Vitielli, sembra più convincente, come lei stessa sostiene, la tesi di Pietro Rescigno rispetto a quella di Vincenzo Cerulli Irelli: le attività di "interesse generale" non sono necessariamente collegate a un assenza di lucro (pagg. 154-155), quello che conta sono i beni prodotti per i cittadini, il cui interesse è quello generale e a cui "l'autonoma iniziativa" di chi si attiva è finalizzata e che deve essere valutata dal politico regolatore rispetto a parametri di efficienza ed efficacia (156-157).

La giurisprudenza
Come nota poi Giglioni la giurisprudenza ha sciolto i nodi nel senso indicato da Vitielli: si è alquanto disinteressata delle tipologie di soggetti gestori e concentrata invece sugli aspetti oggettivi della relazione instaurata (163). Ovviamente, come segnala Giglioni, non è poi tanto facile per un giudice distinguere gli "interessi pubblici" che hanno bisogno di una gestione pubblica diretta dagli "interessi generali" a cui è facilmente applicabile la sussidiarietà orizzontale (166): la scelta non può che essere spesso eminentemente politica come ha sottolineato il Tar Lombardia l'1 luglio 2008 (citato da Giglioni a pagg. 175-176). Il politico ha però il dovere di motivare bene le scelte, specie se e quando ritorna alla gestione diretta (181).


Sussidiarietà: una risorsa in più
Alla fine l'ottimismo degli autori sul nuovo 118 è condivisibile, specie se si usa l'argomento del recente scritto di Clementi sul valore della sperimentazione legislativa: che ci siano impostazioni diverse della sussidiarietà, i cui frutti si possano comparare e sperimentare prima in ambiti ristretti anche grazie al federalismo, è una risorsa, non un limite, a patto di essersi emancipati da quella classica cultura statalista omogeneizzante per cui ci si accontenta di standard formali uguali di partenza come se essi si traducessero miracolosamente in reale uguaglianza di trattamento. E' vero che la sussidiarietà (e la poliarchia) apre a pericoli diversi e non è un pranzo di gala, ma è comunque una risorsa di più.




A questo contributo si è aggiunta la risposta di Fabio Giglioni, giurista e redattore dell'area norme e giurisprudenza della rivista Labsus.org


A proposito di poliarchia
Innanzitutto hai correttamente rievocato il concetto di poliarchia di Benvenuti e infatti gli autori sono convinti che quel concetto è antesignano della sussidiarietà orizzontale da noi intesa. Ti segnalo peraltro che il primo autore che ha operato questo accostamento è stato proprio Cerulli Irelli, il quale a onor del vero non esclude i soggetti dell'imprenditoria privata tra i protagonisti della sussidiarietà anche se dice che la norma non fu scritta pensando a loro.

Intreccio e autonomia dei soggetti
Sul resto hai ragione: il concetto di sussidiarietà per gli autori è davvero una risorsa in più, è l'idea che l'amministrazione (ma anche la politica) deve sapere valorizzare e cogliere le capacità e le potenzialità dei cittadini anche nell'adozione di concrete soluzioni ai problemi di interesse generale. E in questo senso noi non vediamo la sussidiarietà come il concetto su cui fondare i confini separati della sfera pubblica e privata (anche perché questo è un tema antichissimo che trova i suoi elementi di legittimazione in altri concetti ben prima di quello di sussidiarietà), ma semmai la sfera che legittima il loro intreccio pur nella autonomia dei soggetti.

Sostegno attivo e interesse generale
Sussidiarietà come sostegno attivo dei poteri pubblici per quelle iniziative dei privati (e qui hai colto bene, non importa quali) siano capaci di soddisfare un interesse generale della collettività. Non è certo collettivismo perché la differenza è un elemento importante nella sussidiarietà, ma non è neppure liberismo (privatizzazioni, liberalizzazioni, esternalizzazioni) perché l'interesse generale non è un elemento collaterale dovuto alla mano invisibile ma è un elemento essenziale di queste relazioni.







v.ferla@cittadinanzattiva.it

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