Il dibattito nel Regno Unito... E in Italia?
Nel Regno Unito il dibattito sull’empowerment dei cittadini è molto avanzato. E adesso ritorna al centro dell’attenzione grazie alla sfida per la Big Society lanciata dal premier David Cameron.
Di recente, ha provato a dare una definizione il Libro Bianco del Department for Communities and Local Government britannico dal titolo Communities in Control: Real people, real power del 2008. Nel documento si legge che l’empowerment “è tutto ciò che riguarda il trasferimento di sempre maggiori poteri pubblici ad un numero sempre maggiore di persone attraverso ogni strumento pratico”.
Certo, rimane un grado di vaghezza intorno al significato di ‘empowerment’ e delle sue varianti usate nella comunicazione e nella pratica delle istituzioni. Resta cruciale, comunque, l’esigenza che le autorità locali siano trasparenti su questo punto, anche allo scopo di valutare in modo attendibile e coerente quanto le loro strategie d’impegno siano in grado di rafforzare i cittadini. Molti sono gli interrogativi.
Tre categorie di empowerment
Al fine di impostare una definizione operativa di empowerment che abbia una portata concreta per le autorità locali, l’Ipsos Mori, un istituto inglese di ricerche sociali, ha scomposto il concetto in categorie che mostrino differenti modi in cui l’empowerment può essere misurato. L’Istituto ha individuato tre categorie di empowerment.
• Secondo l’Ipsos Mori, il de jure empowerment (il potere che si manifesta nelle opportunità e nei diritti proclamati nelle leggi, nei contratti o in altri documenti ufficiali) è stato sostanzialmente incrementato nel Regno Unito negli ultimi dieci anni, per esempio, nella forma di strumenti legali come il Freedom of Information Act.
• Il de facto empowerment (controllo o influenza diretti su risultati e decisioni) è più difficile da misurare. Tuttavia, secondo l’Istituto, cresce il numero di progetti che, nel Regno Unito, si fondano sulla co-produzione dei servizi in partnership con gli utenti. Con questi progetti si realizza un trasferimento ('devoluzione') di poteri nella definzione dei bilanci alle strutture di vicinato nonché di risorse - anche e soprattutto finanziarie - alle comunità e alle organizzazioni civiche. Tutto ciò sembra mostrare con un alto grado di probabilità che i cittadini abbiano più potere oggi sulle decisioni locali di quanto ne avessero in passato.
• Il subjective empowerment (la sensazione di essere capace – able - di influenzare, controllare e determinare - affect - una situazione) è rimasta statica in UK in anni recenti, ma è più bassa rispetto al 2001, nonostante massivi investimenti sulla partecipazione e l’impegno.
Cittadini: il rischio della 'stanchezza'
I recenti dati di una Citizenship Survey (2007-2008) mostrano che il 38 per cento delle persone in Inghilterra concorda sul fatto di poter influenzare le decisioni nella propria realtà locale, mentre un quinto della popolazione (20%) ritiene di potere influenzare le decisioni relative alla Gran Bretagna nel 2007. Nel 2001 erano rispettivamente il 44 per cento e il 25 per cento.
Questo ‘empowerment gap’ – che è il crescente assortimento negativo tra le aumentate opportunità di fatto di determinare il cambiamento e le divergenti capacità e volontà di usare queste opportunità - è una questione reale.
Secondo l’Istituto, se nulla è fatto per controbilanciare questa situazione è probabile che l’incremento di opportunità di influenza favorirà semplicemente limitate porzioni di società. Messa crudamente, la popolazione che non si sente capace di influenzare le decisioni tende a non firmare petizioni, a non partecipare agli eventi che presuppongono la partecipazione non importa quanto significativi possano essere. Il tema è abbastanza rilevante anche nel contesto italiano dove la crisi pervasiva della politica sembra erodere anche gli spazi di partecipazione dei cittadini, sia sul piano politico, con la paventata crescita dell’astensionismo elettorale, sia sul piano civico, con la chiusura progressiva di spazi di collaborazione costruttiva nelle politiche pubbliche da parte delle amministrazioni regionali e locali.
Benché le opportunità de-facto siano vitali, per se stesse non possono garantire che segmenti più larghi di pubblico vi prendano parte. La crescita di meccanismi strutturali e istituzionali di rafforzamento delle comunità e di incremento del de-facto empowerment a livello locale devono essere miscelati con l’azione di sviluppo di un senso soggettivo di empowerment. Questo vale per la società britannica come per quella italiana.
Poteri reali
Nel Regno Unito, il Department for Communities and Local Government ha adottato ufficialmente due definizioni di empowerment: oggettiva e soggettiva, che corrispondono approssimativamente alla prima e alla terza definizione descritte sopra. E, in effetti, ogni programma di impegno civico che mira a rafforzare l’empowerment dei cittadini e a costituire la base di una governance sussidiaria dovrebbe supportare e offrire entrambi i tipi di empowerment (subjective e de facto). Questo sempre che le Istituzioni siano consapevoli di una cosa: che si ha davvero empowerment solo quando i cittadini sentono di poter influenzare le decisioni che hanno un impatto sulle loro vite e sono dotati/provvisti/forniti di significative opportunità di rendere questa una realtà effettiva e non una mera possibilità.
Sul tema bisognerà ritornare.
v.ferla@cittadinanzattiva.it
Questo ‘empowerment gap’ – che è il crescente assortimento negativo tra le aumentate opportunità di fatto di determinare il cambiamento e le divergenti capacità e volontà di usare queste opportunità - è una questione reale.
Secondo l’Istituto, se nulla è fatto per controbilanciare questa situazione è probabile che l’incremento di opportunità di influenza favorirà semplicemente limitate porzioni di società. Messa crudamente, la popolazione che non si sente capace di influenzare le decisioni tende a non firmare petizioni, a non partecipare agli eventi che presuppongono la partecipazione non importa quanto significativi possano essere. Il tema è abbastanza rilevante anche nel contesto italiano dove la crisi pervasiva della politica sembra erodere anche gli spazi di partecipazione dei cittadini, sia sul piano politico, con la paventata crescita dell’astensionismo elettorale, sia sul piano civico, con la chiusura progressiva di spazi di collaborazione costruttiva nelle politiche pubbliche da parte delle amministrazioni regionali e locali.
Benché le opportunità de-facto siano vitali, per se stesse non possono garantire che segmenti più larghi di pubblico vi prendano parte. La crescita di meccanismi strutturali e istituzionali di rafforzamento delle comunità e di incremento del de-facto empowerment a livello locale devono essere miscelati con l’azione di sviluppo di un senso soggettivo di empowerment. Questo vale per la società britannica come per quella italiana.
Poteri reali
Nel Regno Unito, il Department for Communities and Local Government ha adottato ufficialmente due definizioni di empowerment: oggettiva e soggettiva, che corrispondono approssimativamente alla prima e alla terza definizione descritte sopra. E, in effetti, ogni programma di impegno civico che mira a rafforzare l’empowerment dei cittadini e a costituire la base di una governance sussidiaria dovrebbe supportare e offrire entrambi i tipi di empowerment (subjective e de facto). Questo sempre che le Istituzioni siano consapevoli di una cosa: che si ha davvero empowerment solo quando i cittadini sentono di poter influenzare le decisioni che hanno un impatto sulle loro vite e sono dotati/provvisti/forniti di significative opportunità di rendere questa una realtà effettiva e non una mera possibilità.
Sul tema bisognerà ritornare.
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