mercoledì 27 aprile 2011

Referendum: quelli che vogliono il popolo bue

L'ultima uscita di Berlusconi sui referendum è già stata archiviata con ben poco imbarazzo da parte di troppi. E' vero che ormai il senso della vergogna è completamente saltato e che ormai non si fa più caso ai quotidiani spropositi del premier. Tuttavia, sull'ultima affermazione valeva la pena spendere qualche 'articolessa' in più, anche da parte dei quotidiani più prestigiosi.
Il premier ha sostenuto che è meglio non far votare i cittadini sul nucleare, perché in questo momento sono emotivamente scossi dal disastro giapponese. Meglio far saltare la consultazione e ritornare ad una politica nuclearista tra un paio d'anni, quando il ricordo di Fukushima sarà lontano.

Non si tratta - come capiscono i più avvertiti - di una delle tante 'candide' gaffe. Bensì di una filosofia radicata e inossidabile. Il popolo è bue. Secondo due declinazioni.



Populismo e volontà di potenza
La prima. Per ogni capo carismatico e per ogni regime populista il popolo è un semplice strumento. Quando ti sostiene è l'artefice dell'investitura sacrale del Capo. Ma quando sfugge al tuo controlla diventa un idiota, incapace di intendere e di volere. Finora, l'incontrastato consenso rivolto al berlusconismo ha fatto del popolo una gloriosa fonte di legittimazione. Adesso che il piedistallo del 'conducator' comincia a scricchiolare, esposto com'è ai rischi della disapprovazione, riemerge la verità sulla considerazione che il popolo riscuote nei palazzi del potere. Il popolo può essere tutt'al più animale da lavoro o servo sciocco. E, in ogni caso, com'è normale che sia nei populismi che si rispettino, esso è solo una proiezione della volontà di potenza del suo capo. Non è un caso che Gheddafi abbia dichiarato, avviando lo sterminio sistematico del suo popolo: "La Libia sono Io!".

La società civile: che fastidio!
La seconda. Anche senza arrivare a quegli estremi, le oligarchie stabilmente insediate nei governi democratici nutrono comunque una sostanziale diffidenza nei confronti della società civile. La storia dei referendum è piena di questi esempi, ben prima della recente dichiarazione dell'attuale premier. Basti pensare al democristiano Bodrato che, ai tempi del primo referendum elettorale, ricevendo una delegazione della presidenza nazionale della Fuci che lo sosteneva, la accusò di infliggere un 'vulnus' alla democrazia. Basterebbe pensare a quanti componenti del ceto politico di ogni colore hanno dichiarato negli ultimi anni che gli italiani non potevano "avere strumenti per valutare situazioni così complesse", quale che fosse l'oggetto del referendum. Basti citare il famigerato invito "ad andare al mare" di Craxi alla vigilia del referendum che diede una poderosa spallata alla prima Repubblica. Basti pensare ai diversi interventi di autorevoli esponenti della sinistra storica (come D'Alema) che in più di una occasione hanno ridotto la società civile a luogo delle pulsioni, per definizione inadatto ad assumere decisioni in modo razionale e ragionevole. Basti ricordare che il Ministro Maroni ha fissato per ben due volte la data dei referendum in giugno con l'obiettivo di depotenziare l'onda d'urto del voto popolare.

La sfida della cittadinanza attiva
La verità è che assai raramente la politica riconosce come interlocutori i cittadini, sostenuta in questo dai media e dai ceti - presunti - colti. Conviene di più - in ogni caso - avere a che fare con il popolo bue, appunto, con gli elettori, pura merce di scambio e di ricatto politico. Ecco perché alla fine sui giornali - che fanno parte del medesimo circo del potere - si stigmatizzano raramente posizioni di questo tipo. Ecco perché la sfida della cittadinanza attiva - cioè la sfida di cittadini adulti e responsabili, capaci di tutelare i propri diritti e di interlocuire da pari con i poteri pubblici e con le oligarchie al comando - è più attuale che mai.

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