mercoledì 18 febbraio 2009

Dopo il voto in Sardegna: un punto di vista civico sulla fase politica


I fatti di questo febbraio 2009 – i risultati delle elezioni regionali in Sardegna e la crisi del partito di opposizione – lasciano un segno. Sono sempre più necessarie valutazioni che non siano di parte, che non vengano dall’interno delle forze politiche in competizione, ma che interpretino gli interessi dei cittadini.

Il progressivo crollo dell’opposizione è un tema forte che va al di là del confronto tra le parti. Esso investe la questione generale degli equilibri della democrazia. E la questione istituzionale dei pesi e dei contrappesi in un sistema maggioritario.

L’interesse dei cittadini – che una democrazia compiuta deve assicurare – è che vi sia un governo capace di governare e, dunque, capace di attuare le linee programmatiche che sono state premiate alle elezioni. E allo stesso tempo che vi siano una serie di soggetti – politici, istituzionali, civili – capaci di vigilare sul suo operato, di verificarlo e di garantire che il principio di maggioranza non si traduca in abuso di potere. Sotto questo profilo, il panorama – assai complesso - che abbiamo di fronte è pressappoco questo.

Sul piano istituzionale, esistono una serie di soggetti costituzionali che, magari tra le polemiche, ma con una certa forza e autorevolezza, riescono a garantire gli adeguati contrappesi. Si tratta del Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e della Magistratura. Ciascuno di questi soggetti, in questi anni, ha svolto un ruolo fondamentale nell’esercizio delle proprie competenze specifiche: rifiutando provvedimenti incostituzionali del governo, perseguendo i reati contro la pubblica amministrazione, producendo sentenze e interpretazioni corrette delle norme vigenti alla luce dei principi costituzionali. Il loro contributo è cruciale, pertanto, negli equilibri complessivi del nostro sistema democratico e deve essere cura di tutti che la loro azione sia rafforzata e garantita.

Su un piano diverso, ma non poco decisivo, vale la configurazione bipolare e maggioritaria del sistema politico affermatosi in questi anni, a partire dagli anni ’90. Si tratta di una conquista, auspicata e pratica dai cittadini italiani - anche grazie alle successive iniziative referendarie - che oggi mostra tutti i suoi vantaggi (con l’occasione si può ricordare che nel prossimo giugno si voterà per un referendum che modifica la legge elettorale proprio in questa direzione). Essa, infatti, invita a non frammentare le forze politiche e costringe al ragionamento, al dialogo e alla sintesi. Che peso avrebbe oggi un’opposizione frammentata in una pluralità di ‘partitucoli’ e ‘gruppuscoli’? Da questa base salda dovrà ripartire anche la riorganizzazione e il ripensamento della parte che oggi è sconfitta.

Sul piano civile, infine, si deve sottolineare il ruolo di tutte quelle organizzazioni civiche che si occupano quotidianamente di tutelare diritti, di proteggere beni comuni, di fronteggiare e risolvere problemi di interesse pubblico. Non si tratta soltanto di un patrimonio generico di civiltà, ma di un pilastro di una moderna governance. La cittadinanza attiva infatti può e deve svolgere funzioni - che vanno dalla vigilanza del potere politico amministrativo alla realizzazione di politiche pubbliche - che sono fondamentali per un equilibrato sviluppo sociale, civile e ambientale. L’articolo 118, u. c. della Costituzione, da questo punto di vista, offre una precisa sponda costituzionale, perché recita: "Stato, regioni, province, città metropolitane, comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà".

Oggi più che mai, da queste fondamenta occorre ripartire perché i cittadini – non il loro governo – siano davvero i padroni di casa della Repubblica.



v.f.

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