martedì 1 maggio 2012

Cl e corruzione: la teologia degli impuniti

"Qualche pretesto dobbiamo averlo dato". Arrivano fin qui le ammissioni di don Julian Carròn, il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ospitate oggi 1° maggio dal quotidiano Repubblica, per commentare le notizie relative al sistema di potere e corruzione messo in piedi in Lombardia dal movimento da lui guidato (Carròn, da chi ha sbagliato un'umiliazione per Cl). Carròn riconosce che potrebbero esservi 'sbagli', 'errori', 'mali' di singoli. Ammette che, tra questi, alcuni potrebbero essere reati (in attesa che qualche giudice riesca però a dimostrarlo). Ma tutto finisce qui.

"E questo - chiude infatti sbrigativamente - sebbene Cl sia estranea a qualunque malversazione e non abbia mai dato vita ad un 'sistema' di potere". Ovviamente, Carròn non si preoccupa minimamente di portare fatti a sostegno di questa sbrigativa assoluzione. E dire che ci sarebbe parecchio da spiegare. Non soltanto con riguardo alle ultime vicende che ruotano intorno al presidente della Lombardia. Ma anche ai tanti uomini di Cl ben inseriti ai vertici dei luoghi di potere nella Regione, dalle Fondazioni, alle Fiere, alle Asl. O ai diversi casi in cui altri esponenti minori di Cl, in passato, sono stati pescati con le mani nel sacco.

Non conviene ritornare su questi fatti. La lista è lunga e in molti si sono già esercitati. Ciò che oggi ci tocca segnalare è l'uso della religione al fine di fabbricare una patente di impunità.

"Chiediamo perdono se abbiamo recato danno alla memoria di don Giussani con la nostra superficialità e mancanza di sequela". Tutto chiaro, no? I danni recati alla comunità civile non contano. Non importa a Carròn che risorse pubbliche siano state sottratte ai cittadini. Né che i diritti dei più siano stati sacrificati sull'altare degli interessi dei pochi capetti di Comunione e Liberazione. Basta chiedere scusa a don Giussani.

E ancora: "Come gli israeliti, dovremo imparare a essere coscienti della nostra incapacità a salvarci da soli, dovremo imparare da capo quello che pensavamo già di sapere, ma nessuno ci può strappare di dosso la certezza che la misericordia di Dio è eterna". Non c'è miglior salvezza di quella che si ottiene riaffermando la fedeltà alla Chiesa, a scapito della giustizia 'umana'. In questa etica sovraordinata, alla fine, la misericordia di Dio cancella tutto. Non c'è bisogno di render conto ai propri simili, per quanto peccatori. Alla faccia di chi i danni li ha subiti sul serio, ogni concetto di responsabilità viene schivato, eluso, obliterato. Ne deriva un'etica pubblica assai fragile e, forse, possiamo concludere qualcosa sul perché la corruzione è così diffusa e tollerata nel nostro paese.

Basta scegliersi da soli a chi rispondere, insomma. Il Tribunale di Dio è certamente il migliore. In fondo, il giudizio è rimandato a sentenze imperscrutabili che saranno scritte a cose strafatte, dopo il nostro saluto a questa terra (certo, questa tendenza a scegliersi il giudice che più piace ci pare di averla già sentita). In più, il perdono è molto probabile, specie per quei credenti che si sono rivelati un tantino deboli ed esposti alle lusinghe del denaro del potere.

I credenti rispondono solo a Cristo (se sono di Cl un pochino anche al 'Gius'): è proprio così, don Carròn?

v.ferla@cittadinanzattiva.it

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