Perché ha perso il Partito Democratico? È una delle domande più
frequenti in questi giorni di commenti postelettorali. La valanga di
analisi – non soltanto quelle delle firme autorevoli, ma anche quelle
degli amici di Facebook – ci sommerge.
Tra le tante, merita un commento il
lavoro degli analisti di
BuzzDetector che
hanno setacciato circa 600 conversazioni in rete (avvenute prima delle
elezioni, tra Novembre e Febbraio) relative ai punti di debolezza del
PD. Un lavoro molto utile perché la ‘rete’ - anche se in Italia siamo
ancora agli albori del fenomeno - può diventare un luogo cruciale per il
posizionamento e la raccolta del consenso delle forze politiche.
Da queste conversazioni sono emersi 13 giudizi ricorrenti che illustrano
bene le cause della sconfitta. Gli utenti della rete di questo PD
dicono:
1. non è il mio PD
2. è un partito che ha paura di perdere
3. è il partito di Rosi Bindi
4. è il partito della lepre, della war room e dello smacchiamolo, smacchiamolo
5. è un partito che si allea con chiunque per lo status quo
6. è un partito senza una strategia
7. non sa che lavoro faccio
8. ha avuto paura di andare al governo
9. non è in grado di garantire i diritti civili del fine vita, coppie di fatto
10. si è fermato alle Frattocchie
11. si presenta con il Berlusconi della sinistra
12. non ha orgoglio
13. “prima vinciamo e poi decidiamo come fare”
In queste ore in cui i lamenti di dolore si mischiano già al rimpallo di
responsabilità e alle autocritiche consolatorie, questi giudizi
appaiono crudi e crudeli, ma fondamentali per chi vorrà farne buon uso.
1. I signori ‘tentenna’
I dirigenti del PD non sanno cosa vogliono. Totale mancanza di linea.
Non una proposta. Più volte Bersani, nei colloqui privati e nelle
interviste pubbliche, ha confessato: le cose si fanno e poi si dicono.
Una frase che a molti militanti può apparire espressione di grande
tempra morale e di ineccepibile serietà. Ma che in rete – e soprattutto
nelle urne – non è bastata ai tanti elettori legittimamente in cerca di
chiarezza strategica e programmatica. L’assenza di un timone è diventata
via via palpabile e insopportabile.
Il PD non è riuscito a scegliere: prima ha abbracciato Vendola e il Psi
(che insieme non arrivano al 4 per cento) senza misurarsi con iscritti e
delegati; ha blandito Renzi per delegittimarlo e poi scaricarlo; ha
sostenuto Monti per poi diffidarne. Ha cercato di farsi troppi amici,
ricavando sguardi obliqui e perplessi. Avrebbe dovuto con coraggio
sposare un progetto: ha rifiutato quello liberaldemocratico, ha lambito
quello socialdemocratico ma non troppo sospettando (a ragione) che fosse
senza sbocco, ha schivato la rabbia popolare e la domanda di democrazia
diretta raccontandosi la storia del populismo.
Ma c’è di più. Perché, nel tempo, il Partito democratico è diventato il
partito delle intese (più o meno larghe) e non degli obiettivi. “Un
partito che si allea con chiunque per lo status quo” è un partito che
valuta ottimale il proprio risultato politico non più in base al
contenuto di programma realizzato, ma in base alla capacità di stringere
un’alleanza. Un partito che “prima vinciamo e poi decidiamo come fare”
perde l’orizzonte delle soluzioni e riduce tutto a tattica.
Senza scegliere, il PD ha trasmesso paura: “di perdere”, ma anche “di
andare al governo”. La mancanza di bussola, alla fine, ha fatto
disperdere la direzione del voto.
2. I signori ‘agèe’
Nonostante lo sforzo apparente delle primarie, l’immagine del partito è
rimasta saldamente ancorata alla generazione novecentesca della Prima
Repubblica. Facile incarnarla in colei che (“è il partito di Rosi
Bindi”) ha cominciato la carriera politica come europarlamentare della
Democrazia cristiana nel lontano 1989... Lo stesso Bersani, con il suo
paternalismo così saldamente radicato nella provincia cattolica e
comunista, è stato alla lunga vissuto come speculare al suo acerrimo
avversario, ma ugualmente – se non maggiormente - ‘antico’.
Sarebbe ingiusto, però, prendersela solo con la classe dirigente. Le
file ai gazebo di ottobre erano piene di fedeli e rispettabili elettori
anziani. Compassato e ‘antico’ era lo scarso pubblico del comizio finale
all’Ambra Jovinelli di Roma dove la diciottenne al primo voto che ha
parlato dal palco svolgeva il tipico ruolo della mascotte nel solito
vecchio circo.
Ovviamente, al di là del dato generazionale, apparentemente
riequilibrato con la selezione delle primarie interne, il ritardo è
prima di tutto culturale. Lo stesso staff del segretario nonché i quadri
intermedi – pur fatti da giovani - sono stati percepiti come ‘vecchi’
per mentalità.
Nessuno stupore, dunque, se, all’indomani del voto, il comitato di
emergenza del PD convocato per commentare il risultato e indicare la
linea riesumasse i D’Alema, Veltroni, Violante, Franceschini, Marino, La
Torre, Bindi, Fioroni e via elencando. I cittadini – che non sono
stupidi – lo avevano già capito. E avevano risposto come sanno
rispondere gli elettori ‘infedeli’…
3. I signori dei 'piani alti'
Per tutti i motivi di cui sopra, il PD è un partito “fermo alle
Frattocchie”. E’ vero: questa piccola noterella storica è certamente
ingenerosa. Ma la rete, si sa, è cattiva. Ti ammazza con sarcasmo. Ha un
suo modo per dirti la verità.
E la verità è che l’arretratezza è prima di tutto culturale e che i
gruppi dirigenti sono autoreferenziali. Non è che non stanno nel
territorio. E’ che non stanno nella realtà.
Il PD è un partito “che non sa che lavoro faccio” è fra tutte
l’affermazione più grave. Significa che ha perso i contatti con i
problemi concreti dei cittadini, con quei lavoratori che una volta erano
il suo blocco sociale, con la modernità che ha creato nuove forme di
occupazione. Quelli che si lamentano in rete fanno cose che quelli del
PD nemmeno conoscono. Ecco perché i lavoratori del Sulcis votano Grillo:
perché c’è andato. Ecco perché i lavoratori dell’Ilva non votano il
centrosinistra: perché si è dato. Ecco perché le partite Iva votano
Berlusconi ieri e 5 stelle oggi: perché non sono evasori fiscali come
pensano quelli del PD, ma precari senza tutele vessati dalle leggi e dal
fisco.
Il PD sta troppo in alto per vedere tutta sta roba, figurati che cosa percepisce della rete.
E gli utenti della rete si fanno sentire. Probabilmente nel timore di
perdere il voto dei cattolici (che, a quanto pare però, sembra estinto
con queste elezioni) ha accuratamente evitato di affrontare temi di
grande attualità come i diritti civili. Questo partito “non è in grado
di garantire i diritti civili del fine vita o delle coppie di fatto”.
Tanto emerge dalle conversazioni in rete, fatte molto spesso da persone
che nel frattempo sono benissimo sintonizzate sull’attualità
internazionale e sanno perfettamente che nei recenti referendum svoltisi
in alcuni stati americani, i cittadini USA hanno dato l’ok sui
matrimoni gay e che lo stesso hanno fatto nuove leggi in Francia e nel
Regno Unito.
4. I signori ‘zimbello’
Bersani aveva di fronte due titani dell’
entertainment. Grillo e
Berlusconi sono due attori straordinari, capaci di trascinare il
pubblico dove dicono loro. Sanno scegliere il copione, sanno fare le
battute, sanno fare i simpatici e sanno anche ruggire. Bersani lo sapeva
e ha scelto – almeno all’apparenza – la sobrietà della comunicazione:
un profilo di serietà e autorevolezza per conquistare la fiducia contro
le false promesse.
Non è andata bene. E le conversazioni degli utenti della rete lo avevano anticipato.
In primo luogo, l’assenza di contenuti è ricaduta sulla comunicazione.
Come si fa una campagna elettorale senza anticipare neanche una proposta
o un punto di programma? L’assenza di strategia è diventata una
evanescenza della parola.
L’illusione del vantaggio acquisito ha prodotto sicumera. E la sicumera
ha prodotto ingenuità colossali. Proprio nelle scelte di comunicazione.
Ad un certo punto, Bersani si è pensato lepre. Il PD, il partito della
lepre in fuga da inseguire. La deriva zoologica ha raggiunto l’apice nel
giaguaro Berlusconi. Fino alla fine, Bersani gli ha promesso “una
smacchiatina”. E il suo staff è riuscito a produrre uno dei video più
insulsi e imbarazzanti che si ricordino (almeno questo, però,
programmatico…: “lo smacchiamo!”). Capace forse di motivare i fedeli. Ma
anche di scatenare le risate dei più smagati.
Alla fine, le conversazioni in rete sono diventate crudeli. La lepre
l’hanno acchiappata. E il giaguaro sta lì beato a coccolarsi le macchie.
La stessa
war room della comunicazione è diventata una
riedizione della gioiosa macchina da guerra del 1994: insomma, venti
anni senza maturare non dico una coscienza del pericolo, ma almeno una
scaramanzia contro il ridicolo. Il partito si è affidato ai ‘300
spartani’, un migliaio circa di volontari sparsi in giro per l’Italia e
coordinati dal terzo piano della sede di Sant’Andrea delle Fratte,
ispirati alle gesta epiche degli antichi guerrieri greci. Tutti giovani
pieni di entusiasmo e passione, impegnati senza risparmio h24: ma che
hanno svolto il compito di pretoriani del loro candidato piuttosto che
quello di comunicatori. Anche qui la rete ha colpito quasi subito: come
si fa a ispirarsi a quei soldati – eroici, per carità – ma che morirono
tutti senza eccezione alle Termopili? Nemmeno a scriverlo ti riesce, un
copione così…
Alla lunga, la stessa figura del segretario è diventata quella dello
zimbello, oggetto di lazzi e sberleffi. E il Gargamella democratico è
finito travolto dai puffi a cinque stelle.
Ecco perché per l'utente della rete questo Pd «non è il mio PD».
@vittorioferla
(pubblicato su
Linkiesta il 1 marzo 2013)